Meditazioni (Moreno Quartieri)

L’età avanza, il rincoglionimento pure e pare che sempre di più ci sia bisogno
di meditazione. Non so se per tutti è cosi, ma a me succede.
Io sono un nomade di fatto, perché sono nato a Vinca in un paesino dell’alta
Lunigiana dove, pure le galline avevano i freni, per non andare a fare l’uovo in
fondo al paese. In questo paese ci sono stato fino a sette anni. Perciò ero troppo
piccolo per cementare le amicizie infantili, si…. i compagnucci esistevano ed
esistono ancora, ma solo di nome e il loro ricordo è sfumato nel tempo e ora è
rimasto solo come un sogno.
A sette anni la mia famiglia, per motivi di lavoro, si trasferì alle cave di
Carrara (località Fantiscritti) dove mio padre oltre a lavorare faceva anche funzioni
di guardiano per sei cave vicino alla casetta dove abitavamo.
Ero solo. Ero l’unico bambino circondato da adulti, che doveva andare a
scuola (a piedi 7 Km A/R per mancanza di strade), aiutare in casa nel possibile, e
giocare come tutti i bambini. In quei sei anni ne ho combinate di tutti i colori. Dal cicerone per i turisti nelle
visite alle cave, alla guida (nelle domeniche) di mezzi pesanti e pericolosi adoperati
per il lavoro in cava, alla guida del treno a vapore (la Ferrovia Marmifera) che al
tempo era utilizzata per trasportare il marmo dalle cave ai laboratori e segherie al
piano per la lavorazione.
A volte mia madre mi vestiva di chiaro, e io ritornavo nero come un perfetto
ferroviere a carbone.
Avevo persino imparato il linguaggio tribale dei lizzatori. Questo linguaggio
era formato non da parole, ma da segni, fischi, urla modulate che se adeguatamente
utilizzato permetteva di evitare i pericoli di questa pericolosissima attività. Ebbene
nella mia innocenza di bambino, prima avevo imparato il linguaggio, poi mi
appostavo sul versante opposto della vallata e “impartivo gli ordini ” di pertinenza
assoluta del capo lizza. Questo esercizio è durato poco. A fermarlo fu la cinghia di
mio padre dopo che fu avvertito di questo pericoloso comportamento tenuto da suo
figlio. Non erano i tempi degli psicologi, gambe e schiena con la pelle rialzata dalle
cinghiate.

Poi nel 1962 ci trasferimmo in un paese sopra Carrara (Sorgnano) dove trovai
un certo numero di coetanei. Andavo con loro, ci si divertiva insieme ma….c’era
sempre un ma. Loro erano nati nello stesso paese, si conoscevano da sempre ed io
(con la crudezza tipica dei ragazzi) ero considerato…..un estraneo, uno di fuori,
oggi si direbbe un paria, un diverso. La mia residenza in questo paese fu breve
perché ci arrivai che avevo circa tredici anni e a diciotto sono andato volontario
nella Marina Militare.
Avevo già una fidanzatina quasi ufficiale, che si affrettò a mollarmi quando
partii per Taranto. Non ho mai saputo che fine abbia fatto.
Per un ragazzo nato a Vinca (1000 mt), trapiantato prima a Fantiscritti (in
mezzo alle cave di marmo) poi a Sorgnano e che fino ad allora la gita più lunga era
stata alla Madonna di Montenero (Livorno), fare il viaggio Carrara-Taranto era
come andare in America a piedi. Che impressione quando si passò per la stazione di
Roma Termini. Non lo scorderò più. Dopo giorni e giorni ancora mi chiedevo “ma
quanti binari c’erano?” A Carrara solo due, a Roma boh!
Ma non sapevo che il meglio doveva ancora arrivare. Si riparte e dopo un po’
di sonno ci ritroviamo nella landa sterminata del tavoliere delle Puglie. È il 19
agosto 1968. È tutto secco, arido, giallo, ed io avevo finito il coniglio (a pezzi ma
un coniglio sano) che mi aveva fritto e incartato mia madre quale genere di conforto
per il viaggio. Disperazione….. anche il legame con la mamma era finito.
Quindi, naso schiacciato contro il vetro intento a osservare dove stavo
andando. Un binario solo, il treno con motrice a nafta e avanti. Si arriva alla
stazione di Taranto e troviamo subito degli energumeni in divisa che ci raccolgono,
ci fanno salire su degli autobus verdi e ci accompagnano alle scuole C.E.M.M.
Ero andato volontario con la precisa intenzione di studiare elettrotecnica ed
elettronica e questo la M. M. mi diede la possibilità di fare. Ero contento, da questo
punto di vista, da altri molto meno. La disciplina era pesante e lo è rimasta sempre
per uno spirito libero come me. E, infatti, questo è il motivo per il quale a fine
ferma mi sono congedato. Intanto si tessevano tutte le relazioni possibili tra
compagni di corso, con la consapevolezza che sarebbero state limitate nel tempo.
Ma io c’era abituato e non mi preoccupavo.
Due anni sono lunghi da passare a stretto contatto di gomito e lasciano tracce
molto profonde che ce se ne renda conto o no.
Passato il periodo delle scuole, a maggio 71 sono imbarcato su Nave Intrepido
e si comincia a navigare. La prima volta la nostra destinazione è Cagliari. Per
andare a Cagliari con una nave ci sono almeno due modi. Quello più difficile è
passare dalle Bocche di Bonifacio (c’è sempre mare) e naturalmente l’Intrepido
passa di li. La cena della sera prima dell’arrivo prevedeva spaghetti, e il giorno
dopo si trovavano spaghetti anche dentro le bocche dei cannoni.
Avevo il posto di manovra a poppetta e fui uno dei primi a mettere piede in
banchina. Appena sceso e sentito il pavimento della banchina fermo (non
oscillava?) mi prese una crisi di nervi e cominciai a piangere lacrime roventi e
incazzate. Questo non perché mi avesse fatto male il mare (non ne ho mai sofferto)
ma semplicemente perché avevo i nervi tesi come corde di violino.
La barca più grossa sulla quale ero stato fino allora era la barca d’istruzione di
voga alle scuole CEMM, poi di colpo su un Caccia….insomma il salto è grande.
Durante il periodo Intrepido giriamo in lungo e in largo il Mediterraneo in
varie esercitazioni e visitiamo città come Salonicco, Smirne, Valencia, Barcellona,
Marsiglia, Tolone, Orano ecc. ecc. A ogni porto mi toccava pagare da bere, ero
l’ultimo imbarcato della centrale, dove lavoravo e poiché non c’ero mai stato……
Alla fine del 1972 si viene a sapere che l’Intrepido sarebbe andato ai lavori di
grande trasformazione a La Spezia. Se non mi muovevo per il resto della ferma
sarei stato in pratica sempre a casa.
Però, io sono curioso. Sapevo della nascita di Nave Audace e corredato della
mia FIAT 500 L color giallo Tahiti, durante un permesso andai a Genova per
vedere quella nave. Il caso volle che incontrassi l’allora C.V. Gianfranco Ginesi che
era direttore del servizio armi sull’Intrepido.
Ci conoscevamo bene e gli dissi “Comandante non ho voglia di stare fermo ai
lavori dell’Intrepido, come faccio a imbarcare qui?”. Lui mi rispose ” se t’interessa,
veramente, ti faccio avere il movimento”. Lo ringraziai pensando” questo pur di
togliermi dalle palle, mi prometterebbe tutto” e rientrai a La Spezia.
Nella cittadina che mi ha adottato (Pietrasanta), c’è un detto che dice” in un
datti di che viense il lupo” per dire di un fatto che accade subito. Una settimana
dopo mi chiama il 2° dell’Intrepido e mi dice” Sgt. Quartieri è arrivato il
movimento, vada a Genova a prendere contatti perché s’imbarca su Nave audace”.
Incredulo prendo i documenti, faccio le valige, le stipo sulla 500 L e mi
presento a Piazzale Caricamento (Genova) e da li incomincia la mia avventura
americana.
Era nel Marzo del 1973. Si finì l’allestimento lavorando con molti tecnici
americani. Uscite in mare per calibrazioni, per prove macchina e per chissà quanti
altri motivi, finche agli inizi del 1974 ci trasferirono a La Spezia per le ultime cose.
Per la crociera inaugurale si andava in …..America.
Nel frattempo avevo conosciuto Lucia (mia moglie) e andare via per dei mesi
non è che fosse molto piacevole, ma ormai ero in ballo e dovevo ballare.
Da La Spezia trasferimento ad Augusta per carico munizioni e missili e poi via,
verso Gibilterra.
La nave è nuova, il mal di mare non preoccupa, chi stava meglio di me?
Nel Mediterraneo eravamo abituati che le onde arrivano da un lato,
nell’Atlantico fu un’altra cosa.
Infatti, dopo poco che eravamo usciti da Gibilterra incontrammo una cosa che
non avevo mai visto. Onde da tutte le parti, vento, pioggia, grandine tutto insieme.
Ma allora lo potevate dire che stavamo a casa.
A un certo punto un’ondata di prora sinistra fece oscillare tutta la nave e come
conseguenza troncò a una certa altezza l’albero (in acciaio) dei radar.
Quindi la nave è cieca e noi dovevamo trovare l’Isola Ponta Delgada
(Azzorre) ed entrare in porto per le riparazioni.
Come si fa? Semplice…. Si utilizzano i radar del tiro. La torre cinquantuno a
prora può farlo tranquillamente. Ci guardammo ed eseguimmo.
Cosi siamo entrati nel porto di S. Miguel.
Ovviamente la sosta si prolungò per le riparazioni, poi dopo una visita in una
piantagione di ananas (da non mangiare troppo freschi, funzionano come una
purga) si fece rotta per le isole Bermuda.
Occhi sempre più sgranati. C’era il Bermudiana Hotel con coperta…..ma
questo lo racconto un’altra volta.
Sosta breve di rifornimento (quattro giorni) e poi rotta su Norfolk e la sua
Chesapeake Bay. Risalimmo lentamente la baia costellata dalle boe antinebbia con
campana fino a raggiungere la base militare USA di Norfolk.
Quando arrivammo, è notte, ma il mattino successivo ci scoprimmo in un
mare….di navi. Mai viste tante tutte insieme. Portaerei, sommergibili nucleari,
caccia, caccia, caccia e chissà quanto altro disseminato in quella sterminata base.
Ci siamo stati un mese in quella base. Più che una base era una città. C’era di
tutto, quello che poteva venire in mente, se lo sapevi trovare c’era.
Quindi fantasia a briglia sciolta e…all’avventura. Sulla permanenza a Norfolk
ci sono parecchi aneddoti, ma non credo sia il caso di riportarli. Tutto quello che si
combinava, era solo la conferma della nostra provincialità acuta.
Finita la sosta a Norfolk si fece rotta verso Mayport in Florida.
Altra base navale immensa e inestricabile. In questo porto ci fermammo un
mese per non ricordo quali motivi. Forse rappresentanza. Ma ormai eravamo vicini
ai Tropici, vicini al poligono di tiro che doveva essere il teatro della vera prova
della nave.
Ed è proprio qui che avvenne il primo sciopero della Marina Militare.
Due righe su quest’argomento: secondo il regolamento tuttora vigente nella
M.M. si passa alla divisa estiva a Giugno. Allora eravamo ai primi di maggio e la
divisa da indossare era quella invernale.
Ma eravamo ai tropici e nessuno se la sentiva di uscire con la divisa invernale.
Il Comandante insisteva per fare uscire i “franchi” ma nessuno si mosse. Anzi fu
portata l’attrezzatura del complesso musicale di bordo, sistemata nell’hangar
elicotteri, fatta musica e…nessuno usciva, mentre sottobordo c’erano i
rappresentanti della Comunità italiana che chiedevano il perché di questo
comportamento.
Accorsero membri dell’ambasciata italiana, conferirono con il Comandante il
quale dopo ore attraverso l’interfono disse ” ragazzi uscite, potete farlo con la
divisa che preferite…..ma uscite”.
Era il mio primo sciopero, dopo ne sarebbero seguiti molti altri.
La lunga sosta a Mayport favorì, tra l’altro, la festa a bordo dei sottufficiali e
la gita a Disneyworld.
La festa a bordo la organizzai io con l’aiuto di un ragazzo di leva che era Chef
a S. Moritz. Uno sballo completo e la festa riuscì benissimo.
Solo un aneddoto: ero sergente anziano e fui chiamato dal 2° il quale mi disse
” questi sono 3000 dollari (allora il cambio era 1 dollaro= 600 £.) spendili tutti, ma
non voglio sapere come. A me basta che non facciate troppo casino”. Rispettammo
le direttive e fummo tutti contenti.
Sulla gita a Disneyworld ci sono pochi commenti da fare se non
“semplicemente meraviglioso” mai vista una cosa così prima e figuriamoci dopo.
Finita la sosta a Mayport trasferimento a S. Juan di Portorico, ancora più
vicini al tropico.
Quindi un gran caldo e che donne. Sono di razza creola le più belle del
mondo, non so se mi spiego.
Come previsto iniziano le esercitazioni di collaudo integrale della nave.
Un’uscita dopo l’altra, caccia antisom, caccia aerea, caccia navale con bersagli
trainati, tiri contro costa, inseguimenti alla massima velocità, guerra elettronica,
insomma di tutto e anche di più. Le esercitazioni si concludono con il lancio dei
missili.
Ventiquattro missili lanciati, ventiquattro centri perfetti. Eravamo stati bravi,
il nostro Comandante ci fece i complimenti e i complimenti arrivarono anche dagli
americani. Erano molto formali perché loro sapevano che avevamo a bordo i loro
ingegneri e le tarature le facevano loro. Però anche noi ci avevamo messo del
nostro.
Aspettammo nel porto di Portorico altri tre giorni perché arrivassero via
elicottero i certificati di collaudo, in pratica era il tempo necessario per darci il
modo di salutare le ragazze con le quali uscivamo, e poi partenza per il viaggio di
ritorno.
Prora sulle Isole Azzorre, in 3° grado di approntamento, a velocità di crociera
(20 nodi) trovammo un Oceano Atlantico simile a una bozza d’acqua. Mare
lunghissimo e senza un’increspatura, si poterono vedere pesci volanti, delfini e
anche due balene.
In men che non si dica arriviamo a Ponta Delgada e ci ormeggiamo di nuovo
nel porto di S. Miguel. Sosta cortissima, due giorni. Rifornimento del necessario e
si riparte. Gibilterra, canale di Sicilia, canale di Otranto, Adriatico, Trieste molo
Audace.
Il giorno 4/6/1974 troviamo la città di Trieste tutta imbandierata perché era la
madrina per la consegna della bandiera di combattimento alla nuovissima Nave
Audace.
Forse occorre spiegare che immediatamente dopo la 2° guerra mondiale, la
prima nave italiana che attracco a Trieste liberata fu una piccola nave che si
chiamava appunto Audace. Da questo il molo e la cerimonia della bandiera di
combattimento.
Cinque giorni di tempo per preparare la nave, poi viene messo a riva il Gran
Pavese e la nave è pronta a ricevere l’onorificenza.
Avevo parlato al telefono con Lucia, la quale mi disse che sarebbe venuta
anche lei a Trieste per tornare insieme poiché dovevo andare in licenza. Io gli dissi”
molto bene, siccome dobbiamo rientrare in treno, porta i soldi anche per me perché
li ho finiti tutti”. La andai a prendere alla stazione e passammo insieme tre giorni.
Durante la mattinata del 9/6/1974 avvenne la cerimonia della bandiera e poi
finalmente sul treno per casa.
Finita la licenza, rientrai a Maridepocar La Spezia in attesa di congedo che
avvenne puntualmente il 31/12/1974.
Rientrato nella vita civile, mi sono sempre dato da fare, senza scartare nessun
lavoro per questo non sono mai stato disoccupato. Le due più grandi esperienze
sono state quella di Capo turno in uno stabilimento, dove si cuoceva la bauxite e poi
il mondo dei trasporti pubblici della mia provincia. Prima sono stato sindacalista
ramo chimici (bauxite) poi e molto più a lungo nei trasporti pubblici.
Dopo trentotto anni di onorato lavoro, alla tenera età di cinquantatré anni sono
andato in pensione e ci sono tuttora.
Quando il 1° gennaio 2003 mi trovai in pensione, mi chiesi” e ora che
faccio?”.
La prima cosa che mi è venuta in mente è stata di provare a ricercare i miei
colleghi EM68. Attraverso internet e molte telefonate sono riuscito a ritrovare i
primi.
Poi con il passaparola e la collaborazione di tutti siamo riusciti a mettere in
opera il 1° raduno nazionale a Ostia Antica il 2/6/2004. Erano passati solo che
trentasei anni durante i quali, almeno a me, la Marina Militare e i colleghi avevano
rappresentato un argomento dimenticato o, se vogliamo, escluso dalla mente.
Le risate che ci siamo fatti, solo per riconoscerci.
La vita non è stata molto avara con me sotto diversi aspetti, ma quello che
ritengo il dono più importante sono gli amici.
Una cosa che è successa ma che non era assolutamente scontata, è che con gli
amici del gruppo EM68 ci siamo ritrovati, riconosciuti e riconquistata l’amicizia dei
diciotto anni.
Quando siamo insieme…..ritorniamo ragazzi, solo che ora ci sono anche le
rispettive signore.
All’inizio ci guardavano sconcertate, poi piano piano si sono conosciute,
hanno fatto amicizia e ora sono loro che chiedono “a quando il prossimo raduno?”.
Ovviamente ci sono anche altri amici conosciuti sul lavoro o che abitano nel
mio stesso palazzo o nelle vicinanze, ma con gli EM68 è tutt’altra cosa.
Loro li sento veramente fratelli e con i quali condivido il bene e il male della
vita. In breve con loro mi sento a mio agio, e spero che la stessa cosa sia per loro.
Ovviamente mica tutti (eravamo circa 80), come si sa, la vita può cambiare molto le
persone. È dopo il cambiamento che si vede la qualità vera di ognuno di noi.
Anche in questo siamo stati bravi, perché senza nulla chiedere o forzare
abbiamo costituito un bel gruppo.
Non siamo in moltissimi, ma nemmeno pochi se si guarda bene. Il numero
degli attivisti EM68 quando siamo fortunati che gli impegni e la salute lo
permettono, riesce ad essere anche di 25 Em68. Poi mettiamoci le mogli e i
figli…..ad alcuni raduni siamo stati davvero numerosi.
Secondo me questo è un piccolo miracolo al quale tutti hanno contribuito
anche se la tendenza ufficiale da a me gli onori o le colpe di quanto è accaduto.
Si deve tenere presente che per trentasei anni siamo rimasti nel limbo o nel
dimenticatoio. Ognuno ha vissuto la sua vita come se la Marina Militare non fosse
mai entrata nelle nostre vite.
Poi di colpo c’è stato il risveglio, la consapevolezza, la memoria, il tutto è
resuscitato nella nostra mente accompagnandoci a quello che siamo oggi.
Fuori da ogni metafora o balzane interpretazioni, sono felicissimo di affermare che,
SIAMO AMICI VERI AL DI LA DI TUTTO E DI TUTTI
E NE SIAMO FELICI ED ORGOGLIOSI.
Non so gli altri, ma per me è così.
Moreno Moreno Quartieri 

timone

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