Una missione inopportuna

Cari fratelli, indubbiamente noi facciamo parte di una generazione fortunata; nonostante i sei anni di Marina Militare (ma molti ne hanno fatti di più), non abbiamo conosciuto la Guerra. Ma ognuno di noi, nel proprio cassetto dei ricordi, ha conservato tanti episodi, ed è giunta l’ora di tirarli fuori e scriverli nella sezione Aneddoti del nostro sito, come ha già fatto Dario, e come mi accingo a fare io con il presente racconto, che ho tratto da uno dei miei diari scritti all’epoca.
L’episodio avvenne nello scorcio novembre dell’anno 1971; ero imbarcato sulla corvetta Umberto Grosso, che faceva parte della squadriglia della Scuola Comando, di base ad Augusta.
Giovedì 25 novembre – Arrivo a Trapani.
Siamo arrivati a Trapani nel tardi pomeriggio, verso le 17; sulla banchina erano ad attenderci i marinai del locale “Maridist”, che hanno cominciato subito a caricare il combustibile e le provviste.
Non so descrivere la nostra gioia quando verso mezzanotte, abbiamo visto le altre due navi prendere il mare, mentre noi siamo rimasti ormeggiati in banchina. Sembra che il direttore di macchina si sia opposto energicamente alla partenza. Secondo il suo parere i motori non davano affidamento per una missione di parecchi giorni, e con un mare che non prometteva niente di buono. Ma alla fine il comandante ha avuto la meglio: partiremo le stesso. Bisogna dire che non lo hanno animato in questa decisione spirito di sacrificio o altruismo verso la patria, ma solo ambizione e carriera.
Venerdì 26 novembre – Partenza inopportuna
E così stamattina alle otto abbiamo preso il largo, però il direttore si è scaricato di ogni responsabilità, e prima di partire ha preteso dal comandante una carta firmata, in cui egli si addossava ogni responsabilità per quest’uscita in mare, non essendo la nave in piena efficienza.
Verso le 14 abbiamo raggiunto le altre due navi della squadriglia: il De Cristofaro e il Todaro. Siccome il mare era accettabile, l’occasione era propizia per effettuare la seggiovia. E il capo squadriglia, che era partito col De Cristofaro, è ritornato da noi in seggiovia. Non è stata una manovra facile perché il mare non era una tavola, e non poche persone hanno temuto un bagno fuori stagione per l’illustre trasbordato, e i comandanti delle due navi Grosso e De Cristofaro, impegnate nella seggiovia, non hanno dovuto passare dei momenti facili, almeno a giudicare dal volto teso del nostro. Solo dopo la manovra, quando sono state mollate le varie cime che tenevano legate le due navi, e le due prore, cambiando rotta, si allontanavano l’una dall’altra, il sorriso è tornato sui volti di non pochi ufficiali. Dopo la seggiovia, le tre corvette hanno fatto rotta per 270° per portarsi all’estremo sud della Sardegna, per prendere poi ognuna una propria zona di pattugliamento e di avvistamento delle navi sovietiche che, con ogni probabilità, domani dovranno transitare da queste parti.
Verso sera si è alzato un vento esagerato che ha causato delle ondate straordinarie che sembrava volessero inghiottire da un momento all’altro la mia povera nave. Non sono stato l’unico a sentirmi male durante la notte. Le due ore di vedetta sono state per me un incubo. Ho obliato tutto dalla mia mente, la mia città, i parenti, gli amici. Nonostante fossi ben imbottito, incappucciato e rannicchiato in un angolo fuori della plancia comando, non pochi spruzzi di ondate, freddi e gelidi, mi hanno investito. Ogni minuto davo il mio modesto contributo all’inquinamento del mare con raccate acide. Sono stato di vedetta dalle 20 alle 22, ora in cui nel sonno ho trovato un buon alleato per le mie sofferenze fisiche. Non so cosa sia successo poi in quella notte di novembre.
Sabato 27 novembre – Triste risveglio.
Alle 7,15, contrariamente al solito, “capo cannone”, e venuto a darci la sveglia insieme ad un ufficiale e ci ha strattonato più del solito per farci svegliare; era successo qualche cosa di insolito: infatti ci ha detto di indossare i salvagente, cosa che in genere si fa quando c’è qualche esercitazione tipo seggiovia. Ho pensato ad una stranezza del comandante, vista l’ora insolita per indossare un salvagente. Assonnato com’ero, non mi ero reso conto che la nave era completamente ferma (non si sentiva neppure il rumore delle eliche) e sbandava paurosamente.
A fatica mi sono alzato, ma una sbandata più forte delle altre mi ha scaraventato sulle altre brande, tutto il locale era a soqquadro, stavamo per chiedere ai due svegliatori il motivo di quella novità dei salvagente, quando è venuto in loro aiuto la voce tenebrosa del comandante che, dall’interfono ha così parlato “Attenzione, è il comandante che vi parla, la situazione è grave ma non disperata, per ogni evenienza c’è il De Cristofaro vicino a noi pronto ad assisterci. Tutti e due i motori sono fermi; da stanotte il direttore e tutto il personale di macchina sta tentando l’impossibile per farne ripartire almeno uno. La nave non è più governata, e spinta dalle correnti, è fuori rotta. Ci troviamo a 120 miglia da Napoli. Il mare è impetuoso. Indossate i salvagente e portatevi in quadrato equipaggio. Non perdete la calma e soprattutto attenetevi a tutte le disposizioni che vi saranno impartite dai vostri superiori. Ripeto: la situazione è grave ma non disperata”. A dire il vero né io né i miei amici ci eravamo resi conto della gravità della situazione, anche perché lo stato fisico a causa del mare, almeno per me, mi teneva la mente impegnata in altre cose.
Ma le scene cui abbiamo assistito in mensa equipaggio, oltre ad abbatterci nel morale, ci hanno fatto rendere conto della gravità della situazione: ho visto diversi sottufficiali piangere al cospetto del comandante in seconda: temevano per la loro vita.
E perché si sono arruolati in Marina, per avere un stipendio sicuro? E se scoppia una guerra, che speranza abbiamo con simile gente. Eravamo riuniti in mensa equipaggio, e in verità non ricordo cosa hanno detto, perché ogni tanto mi recavo in bagno per raccare. Hanno controllato che tutti avessimo addosso il salvagente e se erano dotati degli accessori necessari; molti, come era previsto, ne erano sprovvisti, e ciò ha causato la disperazione del nostromo, che è stato costretto dal comandante in seconda a rendere completi i salvagente in difetto. La disperazione del nostromo non era da attribuire al fatto che doveva recarsi nella sua cala a prora a prendere gli accessori, e obiettivamente con quel mare era una manovra abbastanza pericolosa. Il nostromo era disperato perché era tutta roba che aveva in carico, e gli dispiaceva un sacco disfarsene, per problemi di magazzinaggio, essendo prossimo sbarcare! Eravamo tutti lì a piangere sulle nostre disgrazie, mentre il povero Grosso continuava ad essere scosso da sbandate paurose, quando all’ improvviso un rumore a tutti noto e un odore di gasolio bruciato è penetrato in quadrato equipaggio. Ci è sembrato che la nave cominciasse a muoversi… di sua iniziativa. La voce del comandante ha fugato ogni dubbio: “Il direttore e il personale di macchina, dopo una notte di alacre lavoro son riusciti a far partire il motore di sinistra, per cui per il momento ogni motivo d’apprensione è scongiurato”. Così, seppur a velocità ridotta, sempre con la nave De Cristofaro al nostro fianco, siamo riusciti, dopo una decina di ore, a raggiungere un porto a me caro, quello di Napoli.

 Rosario Mastriani 

timone

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