Ancora una storia di Dario Bilotti pubblicata sul “Corriere di Carmagnola”
Mi siedo su una scomoda panchina del lungomare di Finale, le doghe mi fanno male alle natiche, ma finalmente trovo la posizione giusta e me ne dimentico. E’ sera, sono anche lontano dai lampioni che illuminano la passeggiata. E osservo il mare calmo, sono rilassato, dopo una intensa giornata in barca mi devo fermare a pensare. Poca gente che passeggia, ma soprattutto lontana, quindi sono libero di concentrarmi sui miei pensieri. Il sole mi ha seccato la pelle, il bagno in altomare mi ha depositato tanto di quel sale che mi pizzica il corpo. Tornato in barca, nelle calme acque del porto, mi farò una rigenerante doccia. Però sto bene, mi sento vivo. Mi sembra di fluttuare in aria come dormissi, o forse dormo, sono talmente immerso nelle mie cogitabonde elucubrazioni mentali che mi pare di essere in una bolla che impedisce la ricezione dei suoni.
Davanti una massa scura, un sipario nero copre l’immagine del mare e del cielo, come fosse tutt’uno, come fossi a teatro in attesa dello spettacolo. Una sottile striscia luminosa creata dalle luci alle mie spalle illumina fiocamente i miei piedi, che sia veramente un sipario sul retro del quale gli attori si stanno preparando per la recita con la luce accesa e che trafila al di sotto?
Alzo lo sguardo al cielo, una volta punteggiata da migliaia di brillantini e una eterea pallida nuvola capitata lì per caso. Riabbasso lo sguardo e una luce lontana mi incuriosisce, in aria o in cielo? aereo a bassa quota o nave? Poi noto una piccola lucina verde quasi fagocitata da quella bianca, è una nave che sta mostrando il suo lato dritto. Mi piacerebbe esserci sopra per guardare la costa lontana e osservarne le luci che la illuminano. Quanto rimango sullo scomodo sedile non lo quantifico, mi è preso un sonno improvviso e decido di rientrare. Stancamente mi avvio. Un venticello fresco mi crea dei brividi tuttaltro che fastidiosi, capisco che il calore accumulato in giornata mi sta lasciando. Mentre costeggio il lungomare, dalla passeggiata capto il leggero suono della risacca senza vederla, ma immagino la sabbia e le piccole conchiglie che rotolano senza sosta, avanti e indietro sospinte da piccolissime onde. L’ingresso del porto turistico mi accoglie sonnecchioso, silente. I moschettoni battono sugli alberi delle barche a vela con un flebile tintinnio, quasi inascoltato. Non voglio fare la doccia in barca, so che sulla spiaggia c’è una diffusore che concede acqua calda addirittura fino alla mattina e quindi dopo aver raccattato infradito e accappatoio mi ci dirigo. Nel buio più totale voglio provare a saggiare la temperatura del mare, è caldo e per chiudere degnamente la giornata entro in acqua, nudo, una sensazione splendida, ogni tanto mi giro verso terra per guardare se qualche ombra si avvicina alla battigia, nessuno. Nuoto a lungo senza perdere di vista la riva, non vorrei che la corrente mi spingesse fino a Savona, ma sapendo di essere all’interno di una piccola cala scarto il timore. Con calme bracciate torno sulla rena, mi copro con l’accappatoio e mi dirigo alla doccia. Come supponevo l’acqua è calda, deliziosa. E ritorno al porto, avvicino la barca al molo tirando la sagola, metto i piedi sulla passerella senza toccare il tientibene e scendo nel pozzetto di poppa, mi siedo su una poltroncina per asciugarmi il capo, saluto un marinaio della Guardia Costiera che rientra e poi, vinto dalla spossatezza, raggiungo il comodo letto a due piazze messomi gentilmente a disposizione dell’amico padrone dell’imbarcazione. Sono solo, come se ne fossi io il capitano, appoggio la testa sul cuscino e giusto il tempo di sentire un leggero rollio che mi si chiudono gli occhi. Ma forse sono troppo stanco per addormentarmi. Mi giro e rigiro nel comodo giaciglio, dalla botola sulla testa, aperta, entra non solo aria fresca ma anche rumori noti, conosciuti e mai dimenticati. La diga foranea, nonostante il mare sia piatto amplifica il rumore della risacca, forse le rocce creano un brontolio tra le cavità presenti tra esse. Il fasciame delle barche in legno scricchiola conformemente al leggero movimento della superficie del liquido elemento, mai fermo. Nel silenzio di questa notte ogni minimo rumore sembra enorme. Mi alzo nuovamente e mi risiedo a poppa, mi appoggio sul mancorrente e getto uno sguardo in acqua. Grossi cefali e piccoli saraghi nuotano in branco attorno allo scafo, la poca luce di un lampione del porto ne esalta le figure. La catena del corpo morto a cui la barca è attaccata è ricoperta di alghe, la gomena d’ormeggio dalla bitta del molo a quella di bordo scorre nel passacavo d’acciaio con un leggero stridore, il tendalino che copre l’ingresso della sottocoperta si muove lentamente assecondando il leggero rollio, sento le ruote della passerella che scorrono sul cemento e mi accorgo di non averla issata a bordo e quindi con non poco sforzo la sollevo sopra la poppa distanziandola dal molo. Faccio un rapido inventario delle manovre e quando sono convinto di essere stato un perfetto marinaio torno a dormire. Mi soffermo su un pensiero detto non so da chi, ma letto in più occasioni:“ come fai a spiegare il mare a chi ci vede solo acqua” e poi mi trovo a giustificare per ipotetici curiosi che tutta la nomenclatura dei termini marinareschi per chi ama il mare e vive il mare nella sua essenza è pura poesia e non spocchiose dimostrazioni di cultura per pochi eletti. E più mi incaponisco su questi pensieri, che forse non dovrò mai esternare, meno voglia di dormire mi assale. Ma non sono solo, dal cabinato di fianco una voce mi chiama. E’ il vicino di posto barca conosciuto in mattinata, anche lui è sceso dalla branda, pardon dal letto, per appropriarsi della fresca arietta che inevitabilmente soffia di sera sul mare e avendo notato la luce accesa della cabina fino a pochi istanti prima, ha pensato di scambiare quattro chiacchiere. Due parole sul tempo come vecchie comari al mercato e una comune esaltazione del ”salato sentimento” su cui stiamo galleggiando. Italiani, popolo di Santi e di Navigatori. Questa frase ha dato il via a un nuovo scambio di racconti su navigazioni varie e opinioni che si protrae almeno per una buona mezz’ora, ma un grosso sbadiglio improvviso mi avverte, contagio anche il mio gentile interlocutore e di comune decisione ce ne torniamo a nanna. Ma questa volta…buonanotte.
Dario Bilotti
Lascia un commento