Lasciato di poppa il Mare Nostrum, a dritta è già defilata Gibilterra; mentre quello che avanza della costa spagnola ci accompagna sino a scorgere, a sinistra, il piattume di Tangeri, quasi invisibile se non sforzando gli occhi per coglierne qualche immagine.
Il resto della costa africana è’ nascosto, uniformemente celato da una strana foschia. Noto con curiosità che di prora si intravede un differente colore del mare e, man mano che la nave si avvicina a quel punto, la differenza si fa sempre più forte.
Capisco solo ora che il famoso” mare lungo” sta per farci provare l’ebbrezza della navigazione su un oceano.
Come se fosse scritto sul manuale di navigazione, viriamo nel punto dove le onde si confondono e, puntando verso sud, per qualche minuto queste onde le cavalchiamo, sospinti di poppa, fendendole perpendicolarmente; in completa assenza di vento le onde sono lisce, solennemente silenziose, tanto che l’unico rumore che odo è’ il mormorio sommesso dei motori ,il saltuario sbuffare del fumaiolo e i tonfi dei pesci volanti che disturbati dall’incedere della nave da sottobordo spiccano dei voli radenti, come rondini che sfiorano i campi di grano, disegnano parabole e rompono l’acqua creando cerchi che s’allargano fino a scomparire dalla vista defilando di poppa , notando inoltre che non s’ode neppure la prora che taglia l’acqua e il conseguente sciabordio. Il dorso dell’onda, ampio e liscio come levigato da mano esperta, lo si raggiunge e ci si allontana in maniera estremamente dolce ,il beccheggio è talmente lento che non da’ assolutamente fastidio.
Penso che la notte sarà da sonno profondo, cullati come saremo. Vado a prora, mi siedo su un cavo d’ormeggio arrotolato in coperta, m’accendo una sigaretta e mi accingo a fare ciò che amo quando sono solo: penso. Fino ad una settimana fa ero a Torino, in licenza invernale, nella noia più totale dato che gli amici ormai hanno preso altre strade. Quando i Carabinieri mi hanno convocato per avvertirmi di presentarmi a bordo con tutto il vestiario, ho capito che qualcosa di bello stava per succedere e nonostante l’affetto per i genitori e le sorelle l’eventualità di un prossimo viaggio mi galvanizzava. D’altronde il mio arruolamento era figlio di un amore totale e incondizionato per un manifesto che, come un flash, mi balenava davanti agli occhi “vieni in Marina sarai un tecnico e girerai il mondo” e in mente la frase “nati non foste per viver come bruti ,ma per seguir virtute e conoscenza”. Ho preso il treno per recarmi a La Spezia con una eccitazione spaventosa, non stavo più nella pelle anche senza sapere dove saremmo andati, l’importante era andare..
Sto quasi per immergermi ancor più nei miei pensieri quando, con la coda dell’occhio, vedo qualcosa che mi distrae. Un enorme albatro sta volando affiancato a noi a non più di venti metri, batto le mani e questo si allontana virando a dritta, vola verso poppa e poi inverte nuovamente la rotta per riaffiancarsi a noi. Ribatto le mani e questi volta il capo e mi osserva, continuando a volare parallelamente al nostro bordo, sempre alla stessa distanza ,senza scomporsi più. Immagino che si chieda: ma non ha niente altro da fare quel marinaio rompiballe? Rimango a osservare il lento volare dell’albatro per circa dieci/quindici minuti fischiando e urlando a intervalli più o meno lunghi. Forse non più spaventato e voglioso di continuare per la sua rotta non mi degna più d’uno sguardo .Fine di una bella amicizia.
Il tempo si sta guastando e grossi nuvoloni si stanno addensando ; tra essi si insinua qualche raggio di sole che illumina il mare formando tra la superficie e il cielo un triangolo di luce, come in una foto in bianco e nero, noto le infinite tonalità di grigio. Incomincia a piovere, l’acqua scende disordinata , a ondate successive, tanto da ricordarmi un contadino che bagna l’insalata con un annaffiatoio. E chissà perché associo ,in uno dei rari momenti di riconoscenza verso la natura per quello che ci offre spontaneamente, questo movimento al buon Dio.
Amo la pioggia, ma non mi sembra il caso di infradiciarmi; molto lentamente ,quasi a godere dell’acqua che mi colpisce il viso, cerco riparo a poppa ,sotto il ponte di volo, da dove continuo estasiato a gioire di questi istanti in cui mi sento moralmente appagato e felice di essere al mondo, di vivere la mia gioventù nel modo migliore. Sicuramente qualcuno, in Patria, ritiene che la mia scelta di arruolarmi, come tanti del mio corso d’altronde, sia contraria ai nuovi eventi socio-politici ,tacciandomi di guerrafondaio; beh! anch’io sono un sessantottino, ma la giovinezza è troppo importante per non viverla come più mi aggrada; soprattutto perché è la mia.
Mi rendo conto che sto lentamente scivolando in pensieri profondi e non consoni al momento estasiante che sto vivendo. A te, o grande ed eterno Iddio, Signore del cielo e dell’abisso………….:nell’aria si diffonde la nostra preghiera, una voce stentorea, ma immensamente piacevole, me la fa gustare fino a carpirne il senso intimo e pur non essendo profondamente religioso non posso evitare di pensare a quanti, prima di me, l’hanno sentita, vissuta e hanno combattuto per un ideale, forse rimettendoci la cosa più importante: la vita.
I trilli dell’ammaina bandiera mi riportano con i piedi per terra. Con una velocità spaventosa cala il buio, qualcuno ha schiacciato l’interruttore. Decido di tornare sottocoperta ,si sta avvicinando il mio turno di guardia.
Vorrei tanto condividere questi momenti bellissimi con qualcuno, ma la mia sensibilità potrebbe non essere capita. Decido di tenermi tutto dentro, come un arricchimento interiore; ci saranno momenti sicuramente duri, ma vedrò di fare a pari con questi appena vissuti.
Dario Bilotti
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