Veglione di Capodanno-Dario Bilotti

31 dicembre 2018 veglione

Ancora un racconto di Dario Bilotti, pubblicato sul Corriere di Carmagnola

Carmelo e Calogero si trasferirono entrambi al nord, da Catania,  lo stesso anno e a pochi giorni di distanza, per lavorare in una azienda di stampaggio lamiere. Si conobbero in fabbrica e nacque subito una amicizia, se non altro per la provenienza. Erano entrambi simpatici e alla mano, tanto da riuscire in poco tempo a far breccia nel carattere dei musoni piemontesi. E infatti bastò poco perché venissero accettati come due dei loro. Era in primavera ed ebbero tempo tutto un anno per rinsaldare la bella impressione  che fecero a tutti. All’approssimarsi delle festività natalizie, con i colleghi in una pausa lavorativa, cercarono di organizzare un cenone per attendere l’arrivo del nuovo anno. Come sempre le decisioni tardavano a essere condivise, ma trovarono la soluzione.  Calogero dall’inizio della sua permanenza in Piemonte  affittò una cascina a Villafranca d’Asti, isolata ma poco lontano dalla stazione ferroviaria, tanto da poterla raggiungere velocemente per recarsi sul posto di lavoro a Moncalieri e si prestava ottimamente a incontri simil-goliardici per feste o quant’altro. Tutti i colleghi quindi colsero l’occasione per organizzare il cenone di Capodanno colà con le rispettive famiglie, su invito del padrone di casa chiaramente, famiglie ormai diventate parte di una bella comunità in amicizia. Ognuno avrebbe portato qualcosa da mangiare per festeggiare in allegria con i compagni di lavoro. Carmelo invece momentaneamente abitava in casa della sorella a Testona. Chiusa la  fabbrica per le feste sarebbe rimasto solo in quanto i parenti ospitanti avrebbero approfittato del periodo vacanziero per recarsi in montagna. Ma prima che partissero Carmelo chiese alla sorella, cuoca sopraffina,  di preparare un paio di  manicaretti tipici  catanesi. E arrivò l’ultimo giorno. Dal quinto piano senza ascensore Carmelo scese sei volte dalle scale per portare le abbondanti porzioni di cibo in macchina, una favolosa 500 F nuova di fabbrica acquistata a rate. Pensò che la sorella avesse esagerato, ma la cucina meridionale, è notorio, è più che abbondante. Chiuse la porta e salì in macchina dirigendosi a Torino, voleva portare un paio di vassoi di cannoli siciliani agli astanti. Giunto nella pasticceria siciliana che gli avevano indicato,  aspettò che gli fornissero la  trentina di cannoli ordinati appena arrivato, devono essere mangiati freschi si sa. Chiaccherando simpaticamente con la cassiera le  spiegò che erano per la festa di fine anno, al che la ragazza gli chiese se era il caso li prendesse in quel momento, ma Carmelo disse: << e quando se no >>. Pagato, uscì con i vassoi, li depositò in macchina e prese la strada per Villafranca. Era inverno, la nebbia la faceva da padrona, con molta calma imboccò la provinciale e più si avvicinava alle zone fuori dai centri abitati meno vedeva, oltrettutto non passava nessun’altra vettura. All’improvviso senti traballare la macchina, ipotizzò una foratura. In effetti la ruota anteriore destra si era bucata. Dalla tasca della portiera estrasse il libretto d’uso per guardare dove si trovasse la gomma con il cerchione. Spostò sul sedile anterione tutto ciò che aveva caricato nel cofano per raggiungere il cric e la ruota di scorta. Mani gelate e bagnato fradicio per la nebbia, al buio faticò non poco a sostituire la ruota. Nel rimontarla non trovò più i bulloni, senza luce era una impresa, probabilmente li aveva appoggiati male a terra e colpiti con un piede, tanto da farli cadere nel fosso costeggiante la strada. Si ricordò d’aver letto che smontando un solo bullore dalle ruote rimanenti  avrebbe sopperito al problema. E così fu. Mise la gomma forata nel cofano, tolse dal sedile quanto vi aveva appoggiato e lo rimise in bell’ordine dov’era. E passarono due vetture che imprecavano per l’improvviso ostacolo a bordo strada  che  si era parato loro davanti. “Santa Rosalia aiutami tu a non mandarli a quel paese” pensò. Rimise in moto e guidando con la testa fuori dal finestrino per vedere la striscia di mezzeria continuò il suo viaggio. Ogni tanto  controllava con la mano se le orecchie erano ancora attaccate alla testa, erano talmente gelate che non le sentiva più, il viso era bagnato e congelato anch’esso  tanto da costringerlo ad asciugarselo, per non parlare degli occhi, che non sapeva se colavano lacrime o acqua, il naso era come le orecchie, un ghiacciolo. Unica consolazione il cappellino di lana che gli copriva il capo, anche se si era formata una bandana  di nebbia congelata. Passò indenne il curvone che scendeva da Dusino San Michele verso Villanova e passò sotto il ponte della ferrovia. Il buio era pesto, la nebbia era talmente densa che immaginava di poterla stringere tra le mani come una spugna. Ma finalmente, dopo due ore interminabili di viaggio, svoltò a destra per raggiungere Calogero. Non riconobbe il paesaggio, non solo per la visibilità ridotta a zero, ma perché si convinse d’aver imboccato quella sbagliata. Con estrema fatica, su quel sentiero sterrato strettissimo riuscì a tornare indietro, le braccia a forza di girare il volante erano dolenti, per un istante sognò quell’aggeggio di recente invenzione che si chiamava servosterzo. Tornò sulla strada principale, scese per controllare se la sua impressione era giusta…no, la strada era proprio quella. Cominciò a chiedersi se il mondo ce l’avesse con lui, ma la pazienza e la determinazione lo spinse a riprendere la strada appena lasciata. Si ripromise di telefonare ai suoi genitori per comunicare loro che il tempo al nord aveva solo due condizioni: fresco e freddo I cento metri che lo separavano da Calogero divennero dieci chilometri, ma finalmente giunse, entrò nel cortile e si accorse d’essere il primo. Pensò che i  problemi appena superati li avrebbe condivisi con gli altri. A malapena vide la porta d’ingresso, prima di suonare scaricò le derrate alimentari davanti alla porta per non far prendere freddo all’amico, saltellando tra uscio e macchina convinto di scaldarsi nel giro di tre minuti. Pigiò il pulsante del campanello, All’apertura dell’uscio lo illuminò un fascio di luce e un’ombra che esordì con “ciao, che ci fai qui?” Carmelo rispose: “spiritoso, non fare il “minchione”, cosa vuoi che sia venuto a fare” e Calogero di rimando:”ma oggi è il 30″.

Veglione capodanno dario

Dario viso Dario Bilotti   

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