Taranto 5 aprile 2008
Ore 18.00, come concordato con il Comando siamo tutti davanti all’ingresso di quella che fu la nostra casa per due anni. Noi EM68 siamo tornati a rivedere il punto in cui tra agosto e settembre di quaranta anni fa ci siamo trovati, bambini o poco più, carichi di curiosità e di paura dell’ignoto, ma incoscienti artefici del nostro futuro prossimo.
Ad attenderci il T.V. Giuliano Durso che con il suo sorriso ci ha subito messo a nostro agio. Ci ha condotto all’interno di una realtà molto simile a quella dei nostri ricordi sopiti ma lontana anni luce da quelli effettivamente vissuti. Abbiamo rivisto i viali su cui abbiamo consumato, in marce, tante suole; ci è sembrato di sentire il brusio dei parenti intervenuti al giuramento che ci accoglievano con applausi quando si sfilava davanti a loro ed alle autorità sul palco; la palazzina, ora inagibile, delle nostre camerate ci è sembrata ancora quel rifugio alla stanchezza, il luogo deputato per piangere in silenzio nella notte pensando a casa, il luogo deputato ad approfondire, prima del sonno ristoratore e meritato, amicizia e fratellanza che piano piano cominciavano a fare ingresso nelle nostre menti.
Le nuove strutture moderne ci hanno tolto un poco di poesia, convinti di trovare tutto com’era per poterci immergere nuovamente nel limbo della nostra memoria. Ci siamo trovati, in men che non si dica, all’ingresso della palazzina che ci avrebbe accolti per qualche notte, senza renderci conto del tragitto fatto; silenziosamente abbiamo sfiorato il selciato, come sospesi, quasi a non voler disturbare il rumore dei tacchetti e delle punte di ferro che marciando ci permettevano di tenere il passo senza l’intervento vocale dell’istruttore, un suono che ci ronzava in testa come una meravigliosa melodia. Abbiamo mangiato nella mensa degli allievi lontani da loro per non interrompere quella che abbiamo interpretato come una rigidità disciplinare formativa del carattere, con le regole imposte a cui ci è sembrato tutti si sottoponessero con educata misura. Più di uno di noi avrebbe voluto sedersi mescolandosi a loro a testimoniare l’affetto nei loro confronti, come fratelli maggiori a cui avrebbero potuto chiedere racconti di vita vissuta, consigli o più semplicemente strappare un sorriso di approvazione per quello che hanno iniziato. Personalmente mi sarei sbilanciato in un: RAGAZZI SIETE MERAVIGLIOSI E VI VOGLIAMO BENE. Poi abbiamo preferito non interrompere una pratica d’orario con un’intrusione chiassosa tale da disturbare le buone abitudini.
Siamo andati a dormire e, quando la tromba ha suonato il silenzio ,un nodo in gola è salito prepotentemente a più d’uno, pochi hanno dormito, l’eccitazione è stata più forte.
La mattina di sabato la sveglia di Moreno ci ha buttati giù dalle “brande” ed è iniziato il nostro giorno, quello per cui abbiamo intensamente lavorato per qualche mese. Dopo colazione abbiamo assistito alla cerimonia dell’alza Bandiera divisi in due gruppi tra il campaccio e la scuola marescialli dove abbiamo ricevuto lodi e hip hip hurrà voluti dal Comandante Longhi che ci ha additati come un esempio di fratellanza che dura da quarant’anni. Il giovane Durso ci ha accompagnati in giro nel comprensorio e sul campaccio abbiamo fatto la foto che immortala noi davanti alla scritta che nel bene e nel male ci ha accomunati in questi anni.
PATRIA E ONORE
Le nostre aule ormai dismesse, la segreteria della SPART, l’ufficio di don Emilio, la pineta sede di chiacchierate serali e momenti di pausa, tutto ci ha riempito il cuore. Il momento dell’emozione generale è avvenuto quando Moreno leggendo il discorso dopo la consegna della scultura del maestro Maremmani, si è dovuto fermare per versare calde lacrime e noi, uomini duri, praticamente gli siamo andati dietro e quando due allievi si sono avvicinati a lui per stringergli la mano abbiamo capito che la ragione che ci ha guidati fino a quell’istante aveva avuto il suo giusto epilogo.
La scultura rappresenta una montagna che sorge dal mare, dura e compatta può perdere anche rocce dai suoi fianchi, ma rimane li a testimoniare solidità e forza perenne, come l’amore fraterno che lega noi EM68. Sul basamento sono incisi i nomi di coloro che hanno onorato l’impegno intrapreso finendo i due anni di studi e preparando nel loro piccolo la strada ad una Marina moderna ancorata alle buone tradizioni ma proiettata nel futuro.
Abbiamo assistito alla messa dove un coro, inaspettatamente splendido, ci ha allietati, dimostrando una bravura stupefacente. Invitati a pranzo in mensa ufficiali abbiamo continuato a gestire i nostri sentimenti con pacata euforia non credendo che tutto ciò che stava succedendo era vero. Tutti noi ci siamo sentiti parte di qualcosa di irripetibile. Antonio, Domenico, Rino, Pietro, Giancarlo, Sergio, Felice, Florindo, i due Lucio, Beppino, Mauro, Moreno, Roberto, Rosario, Andrea, Letterio, Gianfranco, Ciro, Michele, Francesco, Giovanni, Enrico, Rinaldo, Paolo, Antonio dal Belgio, Dario e tutti gli assenti impossibilitati a venire possiamo considerarci una grande affiatata squadra?
Altro momento intenso, quando il Comandante Ciussi ci è venuto a trovare a ricordarci il padre, quel Capo Ciussi che era sicuramente il più amato tra gli istruttori e che con capitan Franceschini si divideva il nostro affetto. I ricordi sono affiorati, belli e brutti. Come dimenticare i giri di campaccio per punizione, i finti svenimenti di Rosario per far cessare le punizioni collettive, il perenne gesticolare a voce alta di Domenico, il “ciacolare” in dialetto veneto di Giancarlo, le notti passate a “villa triste” per una insufficienza o solo perché si muoveva impercettibilmente la testa sull’attenti. Il farsi coraggio vicendevolmente con un reciproco invito a tener duro. Le notti di piantone in camerata a fumare sulle scale e chiacchierare con il piantone della camerata vicina. Il lavaggio gamelle, quando per togliere il tappo formatosi con i residui di cibo eravamo costretti a perforare uno strato di grasso spesso venti centimetri, grasso che si depositava sul braccio quasi fino alla spalla e tanto difficile da togliere. Gli scherzi, fatti e ricevuti, con goliardico divertimento. E poi la festa di santa Barbara in cui ci siamo sentiti forse per la prima volta coinvolti in un clima di complicità contro “l’odiato ETE” e contro tutto ciò che ci avversasse. Il secondo anno, con responsabilità maggiore, a fungere da esempio ai nuovi allievi tanto da sentirci osannati e vederci additati come un esempio da seguire. Nonostante fossimo ancora estremamente vulnerabili nel carattere, a piccoli passi, riuscimmo a creare una base di conoscenza interpersonale che oggi sta dando i suoi frutti.
Ormai quasi tutto il comprensorio della scuola si è modificato nell’aspetto e per ricordare pienamente abbiamo fatto non pochi sforzi giudicando comunque positivo che tutto sia stato migliorato. Enorme impressione il vedere la presenza di donne che con un cipiglio degno delle nostre tradizioni riescono a stare al passo degli uomini con grande grinta e alle quali auguriamo le migliori fortune.
Il pomeriggio siamo usciti in “franchigia” e la sera in un ristorante abbiamo brindato da borghesi a questa nostra Arma di cui ci sentiamo ancora parte integrante se non altro per aver dato a Lei forse i nostri migliori anni. Ci siamo lasciati la domenica mattina per raggiungere le nostre case, ma sapendo che la nostra storia non è affatto terminata perché ……… siamo EM68.
Penso che ognuno di noi voglia ringraziare l’ammiraglio Spagnuolo Comandante le scuole, il vice Comandante cv de Tuglie, il cv Longhi, il tv Durso, tutto il personale di Mariscuola che ha sopportato la nostra pacifica invasione e salutare tutti gli allievi a cui va il nostro invito “SEMPER FRATRES”. Lo studio, la fatica, la disciplina e poi il sonno, la noia, l’adorato e odiato mare che toglie spensieratezza ma elargisce vigore intellettuale forgiano lo spirito e trasformano il giovane in un uomo. Un uomo.
A tutti va il nostro augurio di una splendida e soddisfacente vita e quando ,se mai ,dovessero essere assaliti da dubbi si ricordino sempre che: Al marinaio è concesso il ricordo non il rimpianto,
guardare sempre a prora e mai volger lo sguardo a poppa.
Dario Bilotti EM68 -Socio di Carmagnola
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