Quando Nave Intrepido a metà del 1973 rientrò a La Spezia per fare i grandi lavori, io andai in gita personale a Genova per vedere la nuova unità navale, appunto l’Audace.
Era attraccata di fianco ad una banchina di Piazzale Caricamento e stava completando l’allestimento.
Dato che ero in divisa, mi fu facile entrare e vedere dall’esterno la nave.
Mentre gironzolavo, trovai un C.V. anche lui imbarcato sull’Intrepido. Ci conoscevamo perché entrambi del servizio armi.
Dopo alcune frasi di circostanza, all’improvviso feci una delle quartierate destinate a cambiare il mio futuro.
Di punto in bianco dissi “Comandante, l’Intrepido va ai grandi lavori ed io non ho voglia di rimanere fermo a La Spezia. Come faccio a imbarcare sull’Audace?”
Egli mi prese subito sul serio (anche se io non ero proprio sicurissimo di quello che avevo detto) e mi rispose ” Ti conosco bene e se vuoi veramente imbarcarti sull’Audace…..ci penso io, perché ci sarò anch’io come Capo Servizio Armi.”
Detto fatto dopo sei giorni mi chiama il Comandante in 2° dell’Intrepido e mi dice: “Quartieri è arrivato il tuo movimento, fra tre giorni prenderai servizio su Nave Audace”.
E mi consegnò tutta la documentazione necessaria. Io ancora incredulo, andai a prepararmi per fare i bagagli.
Dopo tre giorni mi presentai a Piazzale Caricamento e mi fu indicata la casermetta, dove era alloggiata la parte di equipaggio già presente.
Seguì un periodo abbastanza turbolento tra il lavoro (con i tecnici americani), la conoscenza di Genova (i carugi, via Prè, ecc ecc.) e le continue corse a casa (ero comunque vicino +/- 100 Km. e avevo la mitica 500 L colore giallo thaiti).
Poi cominciarono le prove in mare con continue uscite e rientri (anche immediati perché qualcosa non andava). Quando tutto fu pronto, collaudato, ricollaudato provato e riprovato, giunse il giorno dell’imbarco dell’equipaggio ufficiale.
Si abbandonò la casermetta, ed io, che in quel momento ero Sergente anziano, fui comandato in servizio nella mensa equipaggio a sovraintendere la consegna del materiale necessario a ogni membro dell’equipaggio (materasso, lenzuola, coperta, cuscino, salvagente ecc.).
Quando tutto andò a regime (nei primi mesi del 1974, non ricordo le date) partimmo per la crociera in America.
Da Genova prima tappa a Taranto per caricare i missili, e poi via per Gibilterra.
Durante la traversata del Mediterraneo il mare era una tavola, ma quando entrammo in Atlantico, la musica cambiò e di molto.
Eravamo abituati a incontrare il mare grosso solo da una parte invece lì il mare veniva contemporaneamente da tutte le parti e aveva forza 8 in aumento.
Pioveva, tirava vento forte, grandinava. Insomma tutto insieme, finche un’ondata di prora sinistra diede un colpo tale alla nave che svettando l’albero si spezzò appena sotto il radar di navigazione (sopra c’erano tutti gli altri) di fatto, accecando la nave.
Il comandante decise di proseguire seguendo la rotta attraverso i radar del tiro e riuscimmo, non senza difficoltà, ad approdare alle Isole Azzorre, precisamente l’isola di S. Miguel nel porto di Ponta Delgada.
Qui ci fermammo per le riparazioni e poi si riprese il mare per arrivare alle Isole Bermuda. Sosta tecnica (viveri, acqua ecc.) breve visita all’isola con il famoso Bermudiana-Hotel e poi via verso la baia di Norfolk e attracco in quello sterminato porto militare.
Non avevo mai visto in un posto solo la concentrazione di navi militari che vidi a Norfolk. Portaerei, incrociatori, caccia, naviglio non identificabile, sommergibili nucleari e non, che sembravano buttati lì da una mano distratta. Sembravano seminati.
La base era immensa e al suo interno c’era di tutto. Dalle cliniche specializzate, ai ristoranti, alle sale da ballo, ai sexishop, ai negozi di tutti i generi, insomma qualunque cosa si volesse trovare….c’era.
Passammo in questo porto un po’ di tempo e poi ci trasferimmo a Mayport in Florida e qui successe il fatto curioso.
Eravamo molto prima di giugno e secondo le regole della Marina Militare Italiana l’equipaggio doveva indossare ancora la divisa invernale.
Ma nello stesso tempo eravamo anche ai Caraibi e faceva un caldo boia.
Fu chiesto al Comandante di indossare la divisa estiva ma egli ligio ai regolamenti rifiutò. Quando fu ora di andare in franchigia, con la comunità italiana del luogo schierata sottobordo………nessuno uscì!!!!!
C’era stato un passaparola iniziato chissà dove, sta di fatto che invece di schierare i franchi sul ponte di volo……arrivarono gli strumenti del complessino musicale di bordo, s’incominciò a suonare, cantare ma…..non a uscire.
Si disse che ci furono contatti telefonici tra il comando e la locale ambasciata italiana, la quale era pressata dalla comunità italiana che voleva salire a bordo.
Con la resistenza del Comandante che voleva l’equipaggio in divisa invernale, la cosa si protrasse per alcune ore.
Finché fu impartito l’ordine di uscire con la divisa estiva.
Da Mayport poi ci trasferimmo a Jaksonville (Florida) dove ci fu la festa a bordo per noi e uno dei responsabili ero io.
Anche perché il Com. in 2° (che mi chiamava il sindacalista) mi consegnò una somma in dollari e mi disse ” organizzate la vostra festa e non fate troppo casino. Non voglio sapere nulla o sentire scuse”.
Con l’aiuto di diversi altri e soprattutto di un ragazzo di leva che faceva lo chef a S.Moritz, con quei soldi facemmo miracoli e la festa andò benissimo.
Per un pelo, però. Perché per allestire l’ambiente ritenemmo opportuno radere al suolo nottetempo un bel boschetto di canne d’india coltivate in un’aiola.
Il giorno dopo la festa non si può dire che ci dissero bravi, anzi. Ma le prove erano sparite per cui……..
Da Jaksoville trasferimento a Portorico sul teatro del collaudo del sistema missilistico.
Un’uscita dopo l’altra con attacchi aerei, navali e caccia antisom, intervallate da giornate in porto che ci diedero l’opportunità di conoscere il luogo, ma soprattutto….. le ragazze portoricane.
Devo dire che in entrambi i campi ci comportammo bene.
Inutile ricordare che il marinaio italiano quando esce fa di tutto per trovare compiacenza nelle donne locali. Ci riuscimmo anche li. Eravamo allenati.
Per quello che riguarda le esercitazioni di tiro, sia missilistico sia con i cannoni andò benissimo.
E’ difficile crederlo, ma con i missili……furono tutti centri. Probabilmente il merito andava anche o soprattutto ai tecnici americani che verificavano il nostro lavoro, ma anche noi avevamo messo del nostro.
A quel punto la missione era conclusa e rapidamente si avvicinava il giorno della partenza per casa.
Appena rientrati in porto come primo dovere il saluto alle donzelle portoricane e poi, via, rotta per le Azzorre.
C’eravamo già stati ma dopo mesi fuori di casa……andava benissimo.
Questa volta solo sosta tecnica e poi alla via per Trieste. Mi dimenticavo. A bordo avevamo già il telefono satellitare per cui a casa sapevano tutto.
Arrivati a Trieste, la nave ormeggiò di poppa indovinate dove? Ma al molo Audace posto proprio al centro della passeggiata a mare triestina.
Fu messo a riva il gran pavese, lucidata tutta la nave e due giorni dopo la consegna della bandiera di combattimento.
Cerimonia bellissima ma oltremodo stancante.
Autorità da tutte le parti, una selva d’ufficiali lasagnati in alta uniforme sia a bordo sia a terra, picchetti d’onore ecc. ecc. Non vedevo l’ora che il tutto finisse.
E siccome tutto finisce prima o poi, finì anche quella lunga giornata.
Il giorno dopo partii per una lunga e meritata licenza che finì con il mio trasferimento a Maridepocar La Spezia in attesa di congedo.
Ma questa è un’altra storia.
Moreno Quartieri
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