Leggendo il racconto delle due sbornie colossali di Moreno, mi è venuta alla mente la mia prima sbornia, pure colossale, che ebbi da marinaio. Al contrario del Gran Capo, io le date le ricordo grazie al fatto che anche in quegli anni ’70 avevo l’abitudine di scrivere molto.
Quella sbornia la presi durante la prima crociera estera che feci sulla corvetta Umberto Grosso, sulla quale imbarcai in un torrido giorno estivo, il 10 luglio del 1970, reduce dell’ultima licenza avuta a Mariscuola Taranto. Ricordo che durante quella licenza estiva assistetti alla finale del mondiale Mexico 70, persa in mal modo dall’Italia contro il Brasile per 4-1; mentre la semifinale l’avevo vista, insieme ai fratelli di corso, Em ed Ete 68, nel locale TV di Mariscuola. E chi se lo può dimenticare quel 4-3 contro la Germania e memorabile vittoria per i colori azzurri!
Tornando all’imbarco sul Grosso, devo dire che questa è stata la mia unica nave nel periodo di ferma; mica ho avuto il culo di Moreno, che si andò a cercare l’imbarco sull’Audace a Genova! Ed era imbarcato su una nave che ci aveva fatto sognare ad occhi aperti, l’Intrepido. Infatti ricordo che sul cappello di quel biondo marinaio, stampato sui manifesti di propaganda della Marina Militare, ove si leggeva Vieni in Marina, sarai un tecnico, girerai il mondo, era scritto appunto il nome della nave Intrepido. E il prode Moreno non aveva voglia di rimanere fermo a La Spezia mentre la nave andava ai lavori…
Partimmo per la crociera, le otto navi della Scuola Comando da Augusta, il 9 settembre di quell’anno 1970, e dopo aver toccato i porti di Ancona e di Trieste, mettemmo la prua per Spalato, città situata al sud dell’Adriatico, di fronte a Pescara; allora faceva parte della Jugoslavia; oggi è una tranquilla città della Croazia. Ci ormeggiammo al molo del porto civile la mattina del 17 settembre, che era un giovedì, ma la sbornia la presi, anzi la prendemmo, perché mi fu compagno di sventura il caro e compianto fratello Giosuè Scalzotto, il sabato successivo. Fortuna che l’altro fratello Pietro Pandolfi, era di guardia quel giorno, prima comandata a poppa, per cui verso la mezzanotte fu lui a raccogliere i resti di due giovani marinai ubriachi fradici. E fu anche grazie al suo pronto intervento, se non ci furono per me e Giosuè, conseguenze disciplinari.
Essendo un sabato, decidemmo di uscire nel primo pomeriggio e di cenare fuori. Eravamo inesperti: per entrambi era la prima volta che si andava in una città estera, non sapevamo che la pasta asciutta è un piatto da mangiare solo in Italia. Andammo in un ristorante e chiedemmo per primo degli spaghetti al sugo. Indescrivibile quella poltiglia molliccia e informa che a momenti ci faceva raccare per il disgusto; lasciammo il locale dopo però aver scolato una bottiglia di buon vino. Riuscimmo poi a cenare dell’ottima carne e contorni vari in una trattoria, e innaffiammo la cena con dell’ottima birra locale. Uscimmo dalla trattoria che eravamo già alticci. Sfortuna nostra, dopo aver bighellonato per le viuzze della città antica, capitammo in una piazzetta, adiacente il Palazzo di Diocleziano, colma di studenti…assetati, e che approfittarono del nostro stato di ebbrezza. Con un gruppo di loro, tra il quale c’erano pure delle splendide dalmate, ci sedemmo al tavolino di un bar e cominciammo con la birra, per finire con una bottiglia di grappa consigliata dal buon Giosuè che era un intenditore. Ovviamente a pagare eravamo noi ricchi marinai capitalisti! e gli studenti socialisti dopo averci accompagnati in un locale, ci abbandonarono poi al nostro destino, dopo di averci ben premuto il borsellino. La serata si concluse in quel locale dove si ballava e beveva, posto in posizione elevata. Ricordo che la scalinata per uscire fuori dal locale, la feci con un capitombolo, ma non avvertii al momento alcun dolore! Come pure successe a Moreno nella sbronza tarantina, neppure io riuscirei a ricostruire il percorso fatto per tornare sulla nave, e non solo perché ci trovavamo in una città poco conosciuta, straniera; eravamo proprio cotti e stracotti. Ci tornammo a piedi o qualcuno ci accompagnò in macchina, in taxi? Non lo so. Ricordo solo che fummo raccolti, io e Giosuè, da Pandolfi che aveva appena finito il suo turno di guardia a poppa, e da qualche altra anima buona. Il fratello napoletano mi spogliò, e dopo avermi fatto fare una doccia fredda, mi depositò sulla mia branda; ed io lo ricompensai più tardi con una doccia personale: quella che mi fece fare lui fu di acqua corrente; la mia invece era composta da liquido e materiale organico fuoriuscito dalla mia bocca e piombato sul suo corpo che dormiva nel letto sotto al mio! Raccai pure l’anima. Il giorno dopo stetti così male che rinunciai poi all’ultima franchigia in terra croata. Promisi a me stesso che mai più mi sarei preso una sbornia del genere, ma essa fu proprio una promessa da marinaio, perché negli anni successivi ci furono altre sbornie, seppur non a quel livello. E oggi che sono sessantenne, non mi sbronzo quasi più, ma non so rinunciare a un buon bicchiere di vino, specie se bevuto insieme ad amici e in particolar modo se è del giovin Brunello di Montalcino!
Rosario Mastriani
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