La Marina Militare deve essere nel mio DNA in quanto il mio ideale giovanile era l’Accademia Navale: questo perché mio padre, oggi ottantasettenne, ha fatto 6 anni di Marina dal 39 al 45 come telegrafista al Comando in Capo, prima a Spezia e poi a Taranto. Non è mai stato imbarcato, ma ha perso diversi amici sulle navi e nei sommergibili, oltre ad un amico carissimo e compagno di scuola caduto al El Alamein.
Per questo motivo mi sono iscritto al Liceo Classico, che a quei tempi era frequentato in grande maggioranza da figli di professionisti ed industriali, mentre mio padre era un piccolo coltivatore poi passato ad un lavoro impiegatizio. Mi sentivo molto a disagio, perché, in quegli anni, la differenza di ceto (e di censo) si notava a 200 metri di distanza; ho resistito 4 anni e poi, dopo la bocciatura, ho mollato ed ho fatto domanda in Marina.
A fine Agosto mi sono trovato con molti di voi a Taranto, ed è iniziata la mia avventura in Marina. A dire il vero, alle Scuole non mi sono mai trovato bene. La rigida disciplina, l’obbligo dello studio, di cui ero già stanco, con punizioni in caso di risultati negativi, l’atteggiamento non proprio amichevole dei Tarantini, l’impossibilità anche solo a parlare con le ragazze, la cronica scarsità di denaro (avevo deciso di non chiedere soldi a casa), la cattiva qualità del cibo, hanno contribuito a crearmi un disagio che ha provocato la rimozione inconscia di quel periodo della mia vita. Durante le ore libere passavo il tempo a leggere ed a giocare a ping pong. 2 passioni che mi sono rimaste.
Avevo legato veramente (almeno così mi sembra adesso) con pochi fratelli, tra i quali ricordo Pessa, che è stato il primo a telefonarmi e di cui ho subito riconosciuto la voce, Adobati, Aiuto, Mastriani e Cozzani, che però ha rifiutato ogni contatto, e Greco, mio compagno d’imbarco per un paio d’anni sul S. Giorgio e con cui abbiamo passato alcuni mesi a Venezia in attesa del congedo. E’ stato l’unico fratello che ho reincontrato una volta dopo la Marina ed è anche l’unico che ho rintracciato io.
Un momento forte della mia esperienza alle Scuole è stata la sfilata del 2 giugno a Roma con la compagnia d’onore della Marina. Nel marciare in Via dei fori imperiali ho provato un grande orgoglio, che mi ha gonfiato il petto e ripagato delle grandi fatiche del lungo allenamento. Finito alla meno peggio il corso a Taranto, dopo la scuola A.S. ad Augusta, dove ho assistito all’impatto del Bergamini contro il molo per un errore di manovra, ho avuto la grande fortuna di essere imbarcato sul S.Giorgio e questa è stata veramente l’esperienza più esaltante in assoluto della mia vita. Ve lo immaginate un ragazzo di campana nei primissimi anni 70 che arriva a Buenos Aires ed incontra degli emigranti del suo paese ed amici di gioventù dei suoi genitori e mangia l’asado in una tenuta grande 100.000 volte il terreno della sua famiglia, o che vede un branco di balene galleggiare pigramente nell’estuario del Rio de la Plata. Oppure entrare nella favolosa baia di Rio de Janeiro, che è il posto più bello che io abbia mai visto, e guardare dall’alto del Corcovado, (con l’enorme statua del Cristo) le spiagge di Ipanema e Copacabana ed entrare nel favoloso Maracanà, allora lo stadio più grande del mondo dove incantava ancora il mitico Pelè. Per non parlare della miseria materiale e morale di Recife, dove sono stato con una ragazza di 16 anni, verificati sulla carta d’identità, che aveva avuto già 3 figli dai compagni occasionali e non voleva assolutamente essere pagata perché diceva che gli Italiani erano i più gentili ed affettuosi.
Sono stato a Caracas, a circa 1000 metri sul mare, collegata al porto di La Guaira da una autostrada di 17 Km., in un periodo in cui, nei negozi di souvenir si vendevano ancora le teste mozzate e svuotate
degli indios amazzonici uccisi quasi per sport come fossero animali.
Ho attraversato il canale di Panama provando la sensazione stranissima di vedere le navi in attesa di entrare nella chiusa da una ventina di metri di altezza, ed ho visto ai bordi del lago Gatun un grosso serpente che sporgeva di quasi tre metri dal grosso ramo su cui era arrotolato.
Ho percorso, durante la ronda con la polizia locale, quasi tutte le strade di Lima ed i poliziotti mi hanno fatto vedere i vari tipi di postriboli. Nel più economico, (130 lire di allora, come un pacchetto di Marlboro a bordo) davanti alle porte di ogni stanzetta, (mt, 2,5 x 2) senza acqua corrente, ma solo un cesto di stracci bianchi, gli uomini facevano la fila.
Ho visitato, commosso ì, le maestose rovine Incas.
Sul fiume Guajaquil, in Equador, c’erano famiglie intere che vivevano sul fiume in canoe scavate da un tronco d’albero. Con lo stesso mezzo venivano a bordo le ragazze che praticavano il mestiere più vecchio del mondo. Il prezzo era proprio un pacchetto di Marlboro.
In un’alba infuocata dal sorgere del sole, siamo entrati nel porto di New Jork, costeggiando l’imponente statua della libertà, mentre di fronte, sulle torri gemelle in costruzione, i primi 5o piani circa erano illuminati ed abitati mentre sopra, 4 enormi gru continuavano la costruzione. Ho precorso a piedi, con il fratello Barassi che oggi è ancora in Marina come Maresciallo responsabile del settore sportivo a La Spezia, mezza città, dal Central Park al palazzo dell’O.N.U. al ponte di Brooklin, i cui cavi portanti avevano il diametro di 60 cm. alla cima dell’Empire State Building. Circa 40 km. a piedi in un giorno.
I luoghi ed i fatti riportati non sono in ordine cronologico o geografico, ma sono come si presentano nei miei ricordi di quegli anni ruggenti.
Alle Azzorre, dove trent’,anni dopo sarebbe stato anche mio figlio per lavoro, ho visto le vedette sulle colline che segnalavano alle barche la presenza di balene al largo, e le barche a remi partivano per raggiungere i cetacei, ucciderli a colpi di lancia e poi portarli a riva legati alle barche, come il marlino di “il vecchio ed il mare”.
A Santo Domingo, dove, a quasi 21 anni ho perso la mia virtù, i palazzi interno al porto avevano sul tetto nidi di mitragliatrice per proteggere dagli attentati il presidente della Repubblica Dominicana in visita a bordo. Poi i nostro comandante ha restituito la visita nella residenza del Presidente, successore, se non vado errato, del famigerato Trujllo, ucciso qualche mese prima in un attendato. Io ero di guardia alla cassa quando il comandante è rientrato, allegro per le abbondanti libagioni che egli non disdegnava, ma spaventato perché, nell’auto presidenziale, sotto i piedi c’erano 2 mitra carichi per lato ed il Presidente gli aveva detto di tenersi pronto a sparare in caso di attacco. Il nostro comandante, superstite della corazzata Roma affondata dai tedeschi intorno all’8 settembre al largo della Sardegna, aveva passato 24 ore in mare prima di essere recuperato, e mia ha detto che nemmeno allora si era sentito così in pericolo.
Di Rio avevo dimenticato il ritorno, quando, dopo un paio di giorni di navigazione verso l’Africa, in pieno oceano si era schiodata una lamiera sotto la linea di galleggiamento a prora ed abbiamo dovuto tornare indietro per la riparazione in bacino, dopo lo scarico delle munizioni in rada. Dopo le franchigie e la frequentazione delle Brasiliane, sempre entusiaste degli Italiani, ma poco protette, a bordo, su 700 persone fra equipaggio ed Allievi dell’Accademia, ce n’erano 500 con la gonorrea. La fila davanti all’infermeria era molto più lunga di quella per la mensa. E’ stata applicata una amnistia temporanea del massimo di rigore previsto per aver contratto una malattia venerea, in quanto si sarebbero fermati tutti i servizi di bordo. Quando siamo ripartiti da Rio si sono versate molte lacrime, e non solo dagli occhi!
Durante una sosta a Cadice, ci hanno portato a Jerez de la Frontera: in un vicino paese di montagna abbiamo visto il dirupo da cui erano stati buttati giù decine di cattolici con il loro parroco durante l’immane tragedia della guerra civile (o incivile?) spagnola.
A Valencia ho assistito a 2 emozionanti corride ed ho visto combattere il mitico El Cordobes ed il giovane, ma bravissimo, El Viti. Uno dei tori del Cordobes, una volta tanto, è riuscito a colpire il torero con un corno buttandolo in aria e, riprendendolo al volo. lo ha schiacciato contro la barriera con le due corna piantate nel legno, fortunatamente ai lati del torace. Liberato, non senza difficoltà, dalla sua squadra, il matador è poi riuscito ad uccidere il toro.
Al largo delle Ebridi abbiamo trovato il mare forza 10, ed abbiamo ballato e raccato per 3 giorni interi. Le onde erano così alte che la nave (oltre 150 mt. di lunghezza) era a cavallo di 2 onde e sotto, fra le 2, c’era una fossa di 25/30 metri. Appena tornato il sereno tutti a far pulizia prima dell’entrata in porto.
Abbiamo navigato dentro in Sogne Fiord e siamo passati vicinissimo al punto dove una goccia d’olio si allargava sulla superficie. Sotto qualche centinaio di metri c’era un incrociatore tedesco affondato durante la battaglia del Mare del Nord che segnalava la sua tragica presenza da un forellino del motore o di una cisterna. Il comandante lo ha segnalato dalla plancia ed ha chiesto un minuto di silenzio per le vittime.
Eravamo a Kiel nell’anno del colera a Napoli, ed i Tedeschi ci hanno obbligato ad usare le latrine a terra, facendoci sigillare quelle di bordo per paura del contagio.
Durante una gita a Lubecca e zone limitrofe, ci hanno portato fino alla cortina di ferro e, mostrandoci l’apparato militare opposto, hanno esaltato il modello occidentale e criticato il Comunismo.
In uscita da Amburgo, dopo aver visto il quartiere delle donne in vetrina, peraltro alquanto squallide, con le vie piene di persone dal sesso incerto, mentre percorrevamo l’estuario dell’Elba verso il mare aperto, un’ancora di prua è stata sganciata per errore ed il comandante è riuscito a limitare i danni con una virata strettissima ed invertendo il moto di un’elica per accentuare la rotazione. Si è danneggiata solo la cuffia dell’ecogoniometro e scalfito internamente l’occhio di cubìa .
Ricordo con grande rimpianto i tramonti sul mare, con la cerimonia serale dell’ammaina bandiera, con il tricolore talvolta immerso nel disco del sole e la nostalgia delle case lontane, le care genti”.
Mi piaceva il rapporto informale con i superiori, senza la disciplina assurda delle Scuole, perché a bordo contava il rispetto vero, non solo la forma. A bordo le amicizie erano, secondo me, più solide, anche per la lunga frequentazione: ho rimpianto e cercato per anni alcuni fratelli di reparto con cui vivevo sempre a contatto di gomito e con cui si usciva in ogni porto. A mio avviso ci sono soprattutto 2 cose che cementano l’amicizia e la fanno durare per sempre: una è l’esperienza comune della vita di bordo vissuta per anni e l’altra, un amore ancora attuale per me, di essere legati sulla stessa corda su una parete di roccia.
Non so se ho scritto tutto quello che dovevo sulla mia vita da marinaio, ma è una esperienza che ho lasciato con grande rimpianto, (per decenni ho sempre pensato con grande nostalgia ai 4 anni di S. Giorgio ed ai compagni di avventure di quel periodo), ma la Vita vera per me era un’altra cosa: una famiglia normale, una casa dalle mie parti, dei figli; avevo visto troppi mariti e padri, durante le crociere, dimenticarsi completamente della famiglia e dei doveri che questa impone. Avevo assistito a troppi abbracci a Portoferraio o a Livorno e a troppe avventure subito dopo o poco prima.
Ho scelto perciò di tornare alla vita borghese, nonostante le note caratteristiche eccellenti e le proposte per il passaggio alla categoria degli Ufficiali dei ruoli speciali. Dopo un anno e mezzo mi sono sposato con Luigina, (in viaggio di nozze siamo passati a La Spezia e siamo stati a bordo del S. Giorgio dove abbiamo ritrovato il Sig. Sauro, mio caposervizio ed ottimo maestro anche di vita negli anni precedenti), dopo 4 anni avevamo già tre figli. Abbiamo lavorato duro, a casa e in ufficio per farci un casa nuova e crescere i nostri figli secondo i nostri ideali morali e religiosi. Grazie a Dio abbiamo una bella famiglia e ne siamo giustamente orgogliosi. Da 3 anni e mezzo siamo anche nonni e fra meno di un mese lo diventeremo di nuovo. A fine anno del 2003 si è aperta una meravigliosa finestra sul passato, partita per me da una telefonata di Franco Pessa. Dopo 2 cene a casa nostra, appunto con Franco, Felice Adobati, Paolo Zanardello e Giancarlo Montin, ho incontrato con grande piacere anche Giosuè Scalzotto, col quale avevamo molti punti in comune a livello ideale, morale e religioso. Insieme siamo venuti a Sommacampagna, primo e meraviglioso incontro di un gruppo ristretto seguito poi dal grande raduno di Ostia. Ritrovarci quasi tutti è stato un miracolo e credo che, solo in questo senso, Moreno sia un Santo. La malattia e la morte del fratello Giosuè ha cementato ancora di più il gruppo, che ha dato una grande dimostrazione di partecipazione e di solidarietà alla famiglia. Grazie alla rete creata dagli em68, è avvenuto un altro fatto meraviglioso: grazie alla segnalazione del buon Dario Bilotti, un altro fratello del nocciolo duro, ho ritrovato anche il gruppo, che esiste da molti anni, degli ex S. Giorgio. Esattamente un anno dopo l’incontro di Ostia, ci siamo ritrovati al Quirinale in 80 persone circa, di cui almeno 25 imbarcati nel mio periodo, fra i quali il Comandante, oggi Ammiraglio di squadra in pensione, che ho nominato prima a Santo Domingo. Ho anche ritrovato, in un paesino di montagna del Trentino, l’eccellente persona ed Ufficiale mio Capo servizio Dalmazio Sauro, nipote del martire Nazario, ucciso dagli Austriaci perchè si sentiva Italiano ed aveva scelto di combattere contro l’.Austria. Ho ritrovato anche Achenza Annibale, che era uno di quelli che cercavo di più, mio compagno di reparto e di vita per tre anni a bordo. L’avventura continua! Penso che la mia storia, particolarmente fortunata, mi giustifichi un po’ davanti agli occhi dei fratelli em68 in quanto evidenzia l’enorme differenza fra le Scuole ed il mio imbarco. Comunque sono felicissimo di avervi ritrovato e rinnovo il mio impegno per la prosecuzione della nostra storia comune.
Compostella Giuseppe
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