Una punizione raccontata da Dario Bilotti
Correva l’anno 1969, quasi alla fine del primo dei due anni di corso come allievo EM al Gruppo Scuole CEMM Lorenzo Bezzi di San Vito a Taranto. Periodo duro ma formativo, dove si imparava a non dare nulla per scontato e dove si imparava oltre alla disciplina e alle materie scolastiche anche a soffrire per le punizioni cadute dall’alto, tipo da una balaustra. Io, sedicenne, rispettoso delle regole ( per paura di punizioni) cercavo nel limite del possibile di evitare ogni azione o comportamento tali da incappare nella immarcescibile serietà dei superiori. Ma veniamo ai fatti. La cena era quasi pronta, i carrelli con i vassoi (erroneamente chiamati gamelle ma il nome era diventato di uso comune) erano pronti nel corridoio che collegava la cucina alla mensa. I tavoli erano occupati in ogni posto, tutti gli allievi in piedi, vocianti in sordina, attendevano che venisse dato l’attenti. Sulla balaustra sopra l’ingresso apparve l’Ufficiale d’Ispezione, con sguardo torvo e trucido controllò la disposizione dei deschi e dopo qualche istante che a noi allievi sembrò una eternità ( la fame toglieva la pazienza ) si decise. At-tenti. Con rumor di tacchi e all’unisono una moltitudine di giovani si misero rigidi nella posizione canonica. L’ufficiale in questione non aveva una gran fama, si vociferava che odiasse gli allievi per problemi avuti con uno di essi quando con la figlia…, ma nessuno mai indagò sulla veridicità dei fatti. Nel silenzio più assoluto, forse erano sull’attenti pure le mosche che abbondavano a quel tempo, la sua voce stentorea tuonò :” Ehi tu, biondo, hai mosso la testa, presentati dal Sottuffciale di guardia, due giri di corsa del campaccio e poi direttamente in CPR”. Io ero biondo, avevo impercettibilmente mosso il capo e convinto lo avesse notato mi sono girato per guardarlo e lui:”anche tu”.Non ero io il primo biondo. Mi presentai al Sottufficiale che con un sorriso ironico mi accompagnò assieme al primo malcapitato sul piazzale e ci ordinò di cominciare a correre. Alla fine dei due giri, ansimanti seguimmo il Capo che ci condusse a Villa Triste. Speravo ardentemente che i posti fossero occupati, nel qual caso avremmo dormito in CPS, solitamente la mia scuola, la SPART ( specialisti artiglieria), forniva il materiale umano per saturare le celle, ma così non fu. Tolti i lacci dagli scarponi e la cinghia dai calzoni mi sembrò, entrando nell’angusto locale, di girare un telefilm, una riedizione del Conte di Montecristo. Il tavolaccio era ben disteso in un angolo, chiesi se era prevista la coperta, ma l’aguzzino mi disse: “zitto, non devi parlare”. Mi adeguai. Lo stomaco brontolava e per non pensarci cominciai a contare i passi tra una parete e l’altra, poi i piedi, poi le piastrelle e quando non avevo più nulla da contare mi sdraiai sul letto di tortura. Ero magro all’epoca, qualcuno mi disse che sarebbe riuscito a farmi una radiografia se mi fossi messo a torso nudo davanti a una lampadina, quindi le ossa puntute appoggiate sull’asse mi dolevano in qualunque posizione mi mettessi. Usai il basco come appoggio per la testa, ma era come non ci fosse; senza coperta il freddo cominciò a farsi sentire ( ah il riscaldamento questo sconosciuto), sperai che almeno il camisaccio mi coprisse un poco, ma il gelo a febbraio si sente anche a Taranto. Alla fame e alle ossa doloranti, si unì pure il gelido dormiveglia. Probabilmente crollai per il sonno un’ora prima della sveglia generale. La tromba suonò, dopo le abluzioni i miei compagni si sarebbero recati alla mensa per la colazione, li avrei raggiunti lì. Bussai alla porta per avvertire cha la punizione era finita…nessuna risposta. Ribussai, ancora nessuna risposta: Gridai, come prima. Urlai, silenzio solenne. Mi rassegnai. Quando giunsi alla conclusione che l’unico modo per raggiungere la libertà fosse un buco nel muro (il Conte di Montecristo docet) si aprì la porta. Ore 10,30. Raggiunsi velocemente l’aula e il meraviglioso Capo Ciussi mi chiese se mi ero appena svegliato. Alla spiegazione del motivo del ritardo si commosse e mi fece accomodare al mio posto. Consigliai ai compagni di mettere in pratica una massima che studiai per tutta la notte : Qualunque cosa succeda fate finta di niente.
Dario Bilotti
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