Una passeggiata invernale – Dario Bilotti

gita 7

Il nostro Dario ci delizia ancora con un racconto breve pubblicato sul Corriere di Carmagnola

Una passeggiata invernale

I cani escono veloci fuori dal cortile felici di passeggiare. Il tempo di chiudere il cancello e di avviarmi che una strana sensazione mi prende. Mentre imbocco la strada che tortuosamente si snoda tra i campi mi accorgo dell’immenso silenzio in cui sono avvolto. La foschia che ho davanti mi copre leggermente la visuale dell’orizzonte prossimo. Il fosso che costeggia la strada, nonostante sia pieno d’acqua, non emana alcun rumore; la superficie è liscia e vedo distintamente il fondo, neppure una piccola onda ne copre la visione. Lontano si staglia il bosco del Merlino, una lunga  striscia grigio scuro si innalza da un campo e nella parte superiore i rami spogli si allungano a interrompere il colore plumbeo del cielo. Associo quanto vedo a una spazzola di saggina coricata sul dorso con le setole consunte che irregolarmente interrompono la loro linea. Delle macchie più scure risaltano, quasi nere e in verticale, sono sicuramente alberi completamente ricoperti dall’edera che finirà per soffocarli, toglierà loro l’energia, la luce e il nutrimento, la vita. Nessun rumore, sono immerso in un mondo ovattato, sarà la nebbia che azzera le sonorità penso… o che abbia problemi d’udito? Pur trovandomi bene in questo silenzio cerco di captare un qualunque suono. No, non sono sordo, lontano, sul bosco, il caratteristico fischio di un falco, flebile, ma udibile in questa cappa e poi il gracchiare di una cornacchia, il martellante battito di un picchio e il tipico verso della gazza. Più vicino la strada della variante è priva di traffico, sulle rotaie della vicina ferrovia nessun treno, nessun trattore è al lavoro. Un micromondo a mio piacere. Lo scorrere della fettuccia dei guinzagli e l’ansimare dei cani mi riportano con lo sguardo sul sentiero. Mi cade l’occhio nuovamente nel fosso e vedo una foglia staccatasi non so da dove che, appoggiata sulla superficie dell’acqua, scivola calma con il picciolo che si erge in perpendicolare, come fosse l’albero senza vela di una barca. Il ruscello taglia anch’esso i campi correndo parallelo alla strada e l’unico colore che rompe la monotonia di questo mondo in grigio è il verde del nascente grano che si sta appropriando di appezzamenti tra altre superfici arate e fresate, che dormono e riposano nell’attesa del prossimo risveglio. Una leggera e fresca brezza sposta impercettibilmente gli alti ma rari fili d’erba che hanno avuto il coraggio e la forza di crescere. In alto il sole è coperto anch’esso da una sottile coltre che ne fa intravedere  il chiarore, ma si pone come insormontabile ostacolo al suo calore. E arrivo nel punto dove il fosso ha origine, dove si crea questo piccolo emissario scavato a scopo irriguo. I salici  che con le loro radici mantengono compatte le rive del Meletta, capitrozzati, hanno ai loro piedi i rami da essi tagliati, ben sistemati in grosse fascine che attendono il ritiro  da coloro che ne faranno legna da ardere o manici per attrezzi da lavoro.  Decido di seguire la riva del corso principale e risalire lungo la sua riva sinistra. Dopo un paio di anse un forte rumore, uno sciabordio che quasi mi spaventa, presumibilmente una nutria si è immersa spaventata alla vista dei cani che mi sopravanzano. E poi dopo altre  anse una figura scura scende galleggiando nel centro del torrente, è spaventata dai cani e con gran rimestio d’acqua, il sibilo particolare del suo battito d’ali e il suo anatrare si alza in volo. E’ un germano reale. E sale in alto iniziando a percorrere un tragitto circolare, come volesse tornare sul luogo da dove è partito, ma poi la nostra presenza lo costringe a desistere e si allontana. La sua tipica immagine  diventa sempre più piccola, percorre poca distanza e finisce per confondersi nel grigio. Ma è ora di rientrare, ripercorro a ritroso la strada fatta. Un latrato lontano blocca il passo dei cani che si fermano e voltano il muso verso l’origine del suono. Molto lontano vedo una piccola macchia bianca che risalta su una verde superficie, si muove lentamente, sembra voglia seguirci. Probabilmente il cane della cascina che intravedo quando passeggio  ritiene doveroso farci sapere che è meglio tenerci lontani. Ma due “abbaiate” dei miei sono probabilmente un deterrente, si ferma, si gira e caracollando torna a casa. Comincio a risentire del venticello fresco che mi sta raffreddando la parte scoperta del capo, quindi aumento il passo e già sogno il tepore del camino, forse per quello la strada del ritorno sembra più corta. Entro in casa, la poltrona mi aspetta e un caldo alito pure. Neanche il tempo di bearmi del calore che mi assale il sonno…e un sogno.

Un film in bianco e nero, come i miei lontani ricordi.    

Dario viso Dario Bilotti

Racconto Dario3

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