Nave Vittorio Veneto. Una bella seconda a La Spezia – 1973

Vittorioveneto alto

Mi sono concesso un breve sonnellino prima di montare di guardia, un’ora circa di sonno poi il piantone è venuto a svegliarmi, mi stropiccio gli occhi e guardo l’orologio, dieci minuti a mezzanotte. Esco dall’alloggio e già nel corridoio avverto un leggerissimo brivido che mi fa rizzare i peli sulle braccia, mi avvio al corpo di guardia dove mi aspetta già con la pistola su cui ha avvolto il cinturone colui che devo rilevare. Sbadiglia in una maniera mostruosa tanto che gli vedo le tonsille.
Noto con piacere che la pioggia, attesa da tanto, si è fatta viva e un bel fresco mi allieterà sicuramente questa amata/odiata seconda.
Prendo le consegne e dopo aver dato una rapida occhiata al giornale di chiesuola comincio a chiacchierare con l’ufficiale di guardia e con il piantone. Presto il tenente se ne va e rimaniamo soli, il piantone ed io, a goderci “a nuttata”.
Le luci della città, dopo la pioggia, sono più luminose; brillano in una maniera meravigliosa e sembrano più grandi di quanto siano in effetti e guardando verso il monte localizzo Vignale dove qualche anno prima passai le vacanze estive guardando estasiato l’arsenale e le navi in banchina, con un binocolo, senza rendermi conto che ormai la mia testa apparteneva già alla Marina Militare e seguendo mentalmente la strada della Foce la immagino illuminata dai lampioni e dal riflesso del selciato bagnato. Mi avvicino alla passerella, do un’occhiata sottobordo dove piccoli pesci nuotano pigramente illuminati dal fanale di poppa e improvvisamente l’odore di terra bagnata mi colpisce le narici. Una fresca brezza mi rende sensibile e allegro. Mi sposto sul lato dritto e percepisco un altro odore, quello che io amo chiamare “odore di acqua bagnata” diverso dall’odore del mare, un misto di salsedine e acqua dolce condito con residui di non so cosa, ma ugualmente piacevole. Illuminata dalla fioca luce di bordo la superficie del mare, leggermente increspata, sembra emettere piccoli segnali di luce. Mi appoggio sulla draglia vicino al candeliere e seppure scomodo mi faccio scorrere addosso aria fresca. Continuo a ruotare la testa cercando, quanto più possibile, di fare il pieno di belle immagini notturne della costa, poi mi sposto a sinistra e sebbene parzialmente celata dalle strutture di altre navi riesco a scorgere un bella linea di luci che conducono verso Lerici e San Terenzo. Rumori soffusi e indefinibili riempiono la notte, è il rumore del silenzio. Faccio finta di non vedere i ritardatari che rientrano dalla franchigia, li conosco uno ad uno, nome e cognome, categoria e reparto. Sembra strano, ed io sono il primo a rendermene conto, ma il vivere a stretto contatto con altre persone su uno spazio che possiamo considerare angusto, dove tutto ciò che fai è in funzione dell’altro, dove ognuno svolge il proprio lavoro affinché altri se ne giovino per il proprio, ti dà una carica emotiva senza uguali. Spesso l’indolenza dei marinai è considerata una pecca, ma non è per caso che il distacco dalle cose della vita sia una finzione per mascherare sentimenti ben più profondi? Rendo partecipe il piantone di questi miei pensieri che, senza interrompermi, segue il mio discorso quasi pendesse dalle mie labbra. Mi da l’impressione che segua la mia elucubrazione con un senso di ammirazione, forse perché uso dei termini a lui sconosciuti o perché l’ho spiazzato con un discorso lungo e un po’ complicato che implica un soffermarsi su aspetti mai sondati del suo vivere.
Mi racconta che da borghese faceva l’operaio in una fabbrica di pannelli metallici e che per lui la chiamata in Marina ha rappresentato un fermo ai suoi propositi, ma che nonostante il periodo di leva fosse ancora lungo sente che il fastidio si sta trasformando in qualcosa di più profondo a cui ancora non sa dare un nome. Gli sono moralmente vicino. Alla fine sentenzio che se un giorno dovessi scrivere un libro lo intitolerò” Le mie sensazioni epidermiche”. Passiamo il resto della guardia in silenzio, poi, poco prima del cambio alle quattro, il piantone mi si avvicina e mi confessa che il resto della guardia l’ha passato a pensare a quanto avevo detto giungendo alla conclusione che nonostante il suo distacco avevo pienamente ragione e che condivideva i miei pensieri. Sono andato in branda allegro e soddisfatto. Scriverò un libro.

 Dario Bilotti

timone

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