Dal Mensile “Corriere di Carmagnola” il Racconto del mese … naturalmente di Dario Bilotti
Mi hanno avvertito che sotto il costone che sovrasta il paese si sono intravisti degli stambecchi. Non ci penso un attimo. Entro in casa, mi infilo il giaccone e mi allaccio velocemente gli scarponi, prendo la mia fida Canon e mi sposto lungo lo stradone per localizzare una piccola radura, calcolando la via per giungervi prima dell’arrivo degli ungulati. Nascosto dalle betulle e dai faggi durante l’ascesa, velocemente ma ansimando e sudando, raggiungo il piccolo prato. Sta nevicando leggermente, i piccoli fiocchi gelati mi colpiscono il viso come punte di spilli, la giacca si è inzuppata, i calzoni sono fradici, ma la frenesia messa in campo per salire non mi impedisce di gioire, nella speranza di raggiungere lo scopo prefissato. Con una breve riflessione mi rendo conto che nel loro spostamento devono obbligatoriamente passare di lì. Noto una fenditura nella roccia, alla sua base e incastrato al suo interno un masso che potrebbe fungere da sedile. Comodamente seduto ma con le spalle e le braccia pressate dalla roccia attendo paziente che gli animali mi passino davanti, sperando di non essere visto e di non spaventarli con lo scatto della macchina fotografica. Quando comincio a risentire sulle natiche la durezza della pietra sono ormai passati circa trenta minuti, le spalle e le braccia costrette alla scomoda posizione sono anchilosate, le mani sono gelate facendo blocco unico con la reflex, la pazienza è arrivata al limite. Penso che probabilmente mi hanno visto o sentito il mio odore. A fatica esco dalla fenditura, metto i piedi sulla bassa erba e nel momento che inizio la discesa per tornare a casa sento un paio di tonfi, come se due pesi toccassero pesantemente il terreno. Giro lo sguardo e vedo a circa cinquanta metri tre stambecchi che saltando di roccia in roccia si stanno avvicinando alla mia posizione. Il tonfo udito non era altro che il rumore prodotto dagli zoccoli quando toccavano le zone erbose. Velocemente mi riposiziono nello scomodissimo luogo appena lasciato, le braccia attaccate al torace, la macchina davanti agli occhi e il dito indice, gelato e quasi insensibile sull’otturatore. Ed ecco che il primo paio di corna fa capolino dietro una pianta, ho paura che senta il battito del mio cuore che pulsa all’Impazzata, tum tum tum, attendo che si presenti davanti a me e scatto la prima posa, … clack! Nel silenzio assoluto, a parte il mio tum tum che sento solo io, lo splendido animale volta il muso nella mia direzione e io, come fossi una statua, non muovo un solo muscolo. Altri stambecchi raggiungono la radura davanti a me e cominciano chi a brucare erba e chi a mordere i nuovi germogli di questa primavera, altri si strusciano sui rami spogli per togliersi il pelo invernale e tutti a girarsi verso me udendo i clack clack. Fermo come sono, ho tutti i loro occhi puntati su me, immagino non mi vedano, ormai faccio parte della montagna. Ma ferale notizia, il pulsante dell’otturatore non scatta più, finita la pellicola. Cosa faccio, scendo? Potrebbero attaccarmi? Ipotesi scartata subito, si spaventeranno e questo mi spiace, ma non posso attendere oltre. Mi muovo disincastrando le spalle, allungo le gambe e con un salto tocco l’erba della piccola radura. Come prospettato ha inizio un fuggi fuggi generale, tutti scappano verso il costone alla mia sinistra e nel giro di pochi secondi scompaiono alla mia vista. Finalmente riesco a sciogliere i muscoli e a scaldarmi, cerco lo splendido branco e li vedo, si sono fermati a un centinaio di metri da me, in alto, su una parete praticamente verticale, il più grosso, quello che si presentò per primo, volta il capo e mi guarda. Mi chiedo se il suo sguardo è di sfida a raggiungerlo, ma l’emozione e la bellezza di quanto visto mi basta… e poi non sono una capra. Addio e grazie.
Dario Bilotti
Lascia un commento