Nave Carabiniere. Crociera di rappresentanza. Navy Day. 6 gennaio – 28 aprile 1971
Dopo una notte passata a pescare gattucci calando le lenze da bordo e salpando un pesce dopo l’altro abbiamo atteso la mattina per entrare nel porto di Massaua.
Attraccata la nave davanti a quella sovietica e dietro a quella indiana, espletate le dovute manovre, fatte tutte le cose per benino come si conviene, attendiamo impazienti di scendere in franchigia per vedere cosa ci offre una città che a vederla dal mare nulla promette di interessante.
Metto piede a terra nonostante un dolore lancinante alla mano destra mi suggerirebbe di andare in infermeria (un gattuccio di cui prima mi ha piantato la spina della pinna dorsale nella mano all’altezza del mignolo).Stoicamente resisto, non sia mai che mi perda un solo istante di tempo libero. Non faccio in tempo ad uscire dal porto che un bambinetto armato di cassetta poggiapiede, spazzola e lucido quasi mi costringe a farmi lustrare le scarpe già brillanti per i fatti loro. Sorrido e mi sottopongo al servizio. Non sono diventate più belle di prima, ma accetto di buon grado e pago il bimbo moretto con una parte dell’aggio fornitomi a bordo,(per chi non lo sapesse l’aggio è il guadagno giornaliero in patria ,cambiato in moneta locale ,moltiplicato per il numero di giorni di sosta nel porto straniero), rifilo al bambino un dollaro etiopico e questi mi guarda stupito mettendomi a disagio. Mi domando se è poco e nel dubbio gli metto in mano un altro dollaro.
Inizio la franchigia. Faccio un giro in città . Noto un gran numero di locali che offrono ai marinai compagnia femminile tra cui spicca un nome familiare “Torino”, scopro poi, gestito da un siciliano.
Mi accorgo subito che il giovane imprenditore moretto ,con gli attrezzi del mestiere, mi segue fedelmente ad ogni passo e mi aspetta fuori da ogni posto da cui esco e a qualunque ora.
Il secondo giorno come il primo, scarpe lucidissime e fedele cagnolino che ha un solo scopo nella vita: rendere felice me e brillanti le mie scarpe.
Il terzo giorno sono di guardia, ma mi avvertono che il moretto è fuori dal porto che aspetta le mie calzature. Il quarto giorno esco e puntuale come un orologio svizzero il lustrascarpe è li che mi pedina e ad intervalli regolari, appena la polvere si deposita sul cuoio, corre a porvi rimedio.
La sera tutto l’equipaggio è invitato ad una mega- maxi festa nella Villa del Leone, organizzata per noi da qualche personalità italiana residente a Massaua. Alle tre di notte dopo aver fatto un pediluvio in mare assieme a compagni e a qualche ragazza italiana sulla spiaggia privata della villa decido di tornare a bordo e appena esco dalla villa non vedo il bambinetto, quasi mi manca, ma è solo un’impressione perché lo vedo spuntare dal buio (all’epoca vedevo bene, persino un negro nelle notte). Nel tragitto fino al porto mi lucida le scarpe tre volte (tempo otto minuti),ma avevo capito il perché. Chiacchierando con un signore del consolato italiano e raccontandogli l’episodio mi ha spiegato che con un dollaro una famiglia ci vive un mese. A questo punto mi sento un benefattore e l’ultimo giorno a terra dopo aver raccattato la moneta da tutte le tasche dei miei compagni ho fatto l’ultimo obolo. Mi ha salutato con un sorriso tanto grande, peccato che avesse pochi denti e, forse, una lacrimuccia è sgorgata dai suoi occhioni neri e lucidi. Mi è preso un groppo in gola.
Una cosa è certa: le mie scarpe non hanno più conosciuto momenti cosi
Dario Bilotti
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