
“Dai Marcello, ti sorreggo io. Stai perdendo molto sangue dal costato e io sono stato colpito al ginocchio, ma tre gambe ci aiuteranno a muoverci”.
Con estrema fatica si trascinarono verso un muro.
“Coraggio, stringi i denti, attraversiamo quella breccia nel muro, è talmente buio che riesco solo a vedere tante piante, deve essere un parco”.
Appoggiandosi al muro che fungeva da ulteriore supporto, entrarono.
“Marcé è un cimitero, meglio, così non verranno a cercarci … o almeno spero. Certo che se dovessimo morire qui facciamo risparmiare le spese di trasporto”.
“Vieni appoggiati a questa lapide, io mi metto di fianco a te, è abbastanza larga da permetterci di non essere visti dalla strada neanche con un po’ di luce. Come stai? Aspetta che ti tampono il buco che hai al fianco, tieni, premi con il mio fazzoletto”.
Finalmente seduti, ansimanti e sudati, si misero il più comodo possibile.
“Ascolta, lo senti quel vocio sulla strada? ci stanno cercando, cerca di eliminare del tutto i lamenti, che appena tornerà il silenzio voglio andare a controllare la situazione. Prima però devo fasciarmi stretto il ginocchio”. “Marcé immagino il tuo dolore sia superiore al mio ma cerca di sopportarlo”.
Lunghissimi minuti di attesa fino a quando il silenzio coprì la scena dell’opera che i due attori stavano loro malgrado recitando.
Nicola accese una sigaretta e la cacciò tra le labbra di Marcello che a fatica cominciò a sussurrare.
“Nicola ti ricordi quando avevo mal di denti al ginnasio e tu mi offristi la sigaretta che avevi sottratto a tuo padre dicendomi che il dolore si sarebbe calmato? Allora non funzionò, speriamo lo faccia ora. Soffro molto. Volevo chiederti di badare alla mia sposa e alla mia amata bimba se le cose dovessero girare nel verso sbagliato. Ricorda alla mia bambina che il suo papà è morto per permetterle di vivere in un bellissimo Paese, che ha avuto come principio basilare della sua esistenza la coerenza, di crescere ricordandosi sempre di essere una brava Italiana”.
“Caro amico, tieni duro, verranno a cercarci, disse Nicola. Aspetta qui che mi trascino verso l’ingresso”.
Giunto nei pressi del cancello scardinato e adagiato per terra si accorse dell’assoluto silenzio che regnava attorno al camposanto. A fatica tornò sui suoi passi e raggiunse l’amico, rincuorandolo. E ricominciò a parlare.
“Pensa, potremo tornare a casa in convalescenza, tu con Lisa e la piccola Dora e io con i miei. Non vedo l’ora di riabbracciarli tutti e giocare con il mio cane. Non sembra anche a te che anche le cose più semplici assumono una grande importanza quando si è lontani?”
“Nicola ho sonno, per cortesia lasciami dormire un poco, mi voglio ritemprare”.
“Marcello sarebbe meglio tu non dormissi, devi reagire”.
“Facciamo così, stringimi la mano, appena senti che la mia presa si affievolisce, destami”.
Nicola cominciò a parlare senza sosta, ricordò le adunate e tutti i discorsi che i loro comandanti facevano per motivare le truppe. I due amici non ne avevano bisogno, sapevano perfettamente per cosa combattevano. In effetti si chiesero spesso se il loro desiderio era dettato dal profondo amore che portavano verso il Paese, se le battaglie che presto avrebbero dovuto combattere erano giustificate, se valeva la pena eventualmente morire per un ideale condiviso… se il mondo si sarebbe ricordato di loro non fossero tornati a casa. Sempre e comunque si diedero una risposta che avallava ogni loro decisione presa.
L’educazione insegnata loro in famiglia e il rispetto per le istituzioni acquisito a scuola impediva di tradire un giuramento fatto per la difesa della Nazione. Nicola cercò di mantenere acceso il discorso rammentando le lezioni di fisica con quella professoressa tanto brava quanto bella, le braghe alla zuava e la brillantina che illuminava le loro teste. Ricordò le scampagnate fuori paese in mezzo al verde della campagna e i primi incontri con le compagne di scuola.
Mentre Nicola parlava sentiva la mano di Marcello che ora stringeva ora allentava la presa denotando perlomeno attenzione.
Poco alla volta anche Nicola sprofondò in un terribile dormiveglia, continuava a parlare rendendosi anche conto che dalla sua bocca uscivano frasi sconnesse, senza senso, ma che dovevano continuare a tenere sveglio Marcello e dandosi anche del cretino per le stupidaggini che diceva.
Una voce lo chiamò, aprì gli occhi ma non mise subito a fuoco da dove provenisse. Di colpo si ricordò dell’amico, aveva mollato la presa. Marcello non era più, giaceva esanime al suo fianco. Girò il capo e il caporale del suo plotone gli chiese se se la sentiva di mettersi in piedi. Nicola non rispose, si girò verso Marcello, lo abbracciò e pianse. Perché, si chiese, la voglia di combattere per tenere fede ad un giuramento doveva avere quell’epilogo? Con sconforto ricordò il canto dei Fratelli Bandiera mentre venivano condotti davanti al plotone di esecuzione: ” Chi per la Patria muor, vissuto è assai “, ma si chiese perché il dolore della perdita di un amico era così grande.
Mentre i barellieri caricavano il corpo di Marcello un commilitone aiutò Nicola a sollevarsi.
Il campanello suonò, Lisa con in braccio la bambina andò ad aprire. La sorpresa di vedersi dinnanzi l’amico più caro di Marcello si tramutò in pianto, abbracciò Nicola e dopo averlo fatto accomodare sul sofà rimasero in silenzio stringendosi le mani per alcuni minuti, senza parlare.
Nessuno dei due iniziava il discorso, quasi in attesa che qualcosa o qualcuno desse il via. Lo fece Dora. Uno strillo li destò dal torpore nel quale sembrava fossero caduti.
Allora Nicola cominciò ad elencare e raccontare tutto il vissuto con l’amico Marcello, senza ricordarsi che queste cose Lisa già le sapeva, ma ella non osava interromperlo per non dare l’impressione di voler cancellare i ricordi.
E venne il momento doloroso in cui, con il cuore in gola rimembrò gli ultimi istanti di vita del suo sposo e di come contava di mettersi a disposizione, dell’impegno assunto.
Ma Lisa, forte giovane donna, gli appoggiò un dito sulle labbra e sommessamente disse:
“Marcello mi promise che sarebbe tornato, che non sarebbe stato solo, che poteva contare su un unico spirito, su una condivisione totale per il bene del Paese. E intonò il canto dalla Caritea di Mercadante, sai quello che recita “chi per la patria muor … Bene, so che lo cantavate spesso assieme e questo mi è di conforto. Non so se il suo sacrificio potrà portare del bene o sarà stato vano, mi consola il fatto che era con un caro amico che mai e poi mai lo avrebbe abbandonato. So per certo che gli sei stato vicino e questo ti fa onore, Ma ora vai caro Nicola. voglio piangere da sola”.
Nicola la abbracciò e diede un bacio alla bimba. Si allontanò pensieroso e triste, ma conscio che amare qualcosa o qualcuno rende felice per ciò che si da e non per quello che si riceve.

Dario Bilotti
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