La raccata

Ci hanno già avvertito che il mare è mosso, ma appena superata la Palmaria suona il 1°grado d’approntamento quindi non abbiamo il tempo di preoccuparci. Con la velocità che ci rende un buon reparto, abbondantemente entro il limite massimo consentito, siamo ai nostri posti e dato che la famigerata “down patrol” è ufficialmente iniziata passiamo al 3°grado. Abbandono il reperimento rapido e mi siedo al pannello acquisizione bersagli (PAB) non senza fatica visto che il rollio si fa insistente.
Comincio il mio turno di guardia proprio mentre la nave associa al rollio pure il beccheggio prendendo il mare al mascone. Un senso di nausea mi colpisce allo stomaco, ma non ci faccio caso, dico sempre che questo può aiutarmi a smettere di fumare.
Dopo due ore di guardia il gaettone mi concede di scendere in mensa. Reggendomi ai mancorrenti arrivo davanti alle cucine trovando il deserto, pochi stoici marinai sono seduti a mangiare ai tavoli in mensa equipaggio, hanno tutti la faccia pallida e immagino che pure la mia sia dello stesso colore. Il mangiare è una pratica d’orario, ma presumo che sia una regola da osservare con il mare calmo. D’altronde non si vedono neppure ufficiali a controllare che l’equipaggio si abbuffi convenientemente; che stiano male anche loro? mah! Non credo, all’accademia avranno insegnato loro a non patire il mare. Mi tengo ben lontano dalle bibite fresche e gassate e riesco a ingoiare un paio di panini senza companatico. Peccato perché uno stufatino fumante, non so se buono, ma dall’aspetto invitante è li che aspetta d’essere consumato. Resisterò alla fame? Ma quale fame? Solo al pensiero di mangiare mi aumenta la nausea. Incontro pochi compagni su tutta la nave e immagino che quelli liberi dal servizio non potendosi recare sui ponti a fumare e godersi il fresco e che non sono sottocoperta saranno sdraiati in branda a smoccolare. Non sono diverso dagli altri e anch’io cerco un poco di requie per il mio stomaco, ma purtroppo il mio alloggio è a prora, sarà già un’impresa arrivarci.
Non ho chiaramente dormito e in certe situazioni chi ci riesce è bravo. Rimonto di guardia con fatica, le scale le faccio o al rallentatore o di corsa conforme al movimento della nave e il solo pensiero che presto o tardi tornerò in branda mi aiuta a reggere fino in fondo. Scopro in noi doti da Bonzo e piuttosto di far vedere agli altri quanto stiamo male facciamo finta di prendere le cose con allegria ma guardandoci in faccia e notando il nostro reciproco pallore ci mandiamo amorevolmente e vicendevolmente a quel paese .Mentire a chi e perché? Poi finalmente posso andare a bozzare e dopo essermi lavato i denti voglio espletare un bisogno fisiologico. Apro una porta e velocemente la richiudo, ne apro un’altra e richiudo anche questa,, stessa storia per tutte le altre. Come d’incanto mi passa la voglia e mi accontento di liberarmi della parte più leggera..
La raccata è un bisogno esplosivo di evacuazione e si divide in tre categorie: -da Lord : piccolo rigurgito ,sputo e faccia disgustata come a dire che solo i plebei stanno male -normale: mani sul bordo della tazza o del secchio o della “buatta”, testa infilata nel buco. Anche in queste cose ci vuole precisione.
-con urlo: come la seconda ,ma con l’optional, l’urlo appunto, che inizia normalmente tre passi prima di centrare il bersaglio. Scopro che la mia nave è fucina di urlatori senza mira. La tappezzeria delle “toilette” è stata scelta con cura da un arredatore amante del colore. I “macchiaioli” vanno di moda .
Fatto sta che vado a dormire sereno come se certe cose non mi interessassero più di tanto. Nei due giorni successivi le cose non variano e stoicamente resisto. Anche il mare resiste alle nostre suppliche, è vero che Santa Barbara ci protegge, ma deve essere momentaneamente sorda.
La sera del quarto giorno penso che un’esplosione potrebbe causare nocumento alla nave e a questo punto mi viene una grandiosa idea. Chiamo accanto a me un pallidissimo zombie, pardon , marò, presumo imbarcato il giorno della partenza dato che non l’ho mai visto e gli ordino di aprire la mandata dell’acqua ad un mio cenno. Dopo aver imbracciato la manichetta antincendio do il via alle operazioni, nebulizzo il getto, apro con un piede le porte e in equilibrio precario faccio che lavare tutti i cessi. Ringrazio lo zombie che accenna a dar di stomaco, ma un mio sguardo lo convince a farlo facendo attenzione a non disperdere nulla .Mi ringrazia e si allontana per tornare nel suo loculo, ,pardon, alloggio e sulla sua adorata branda. Poi, finalmente, mi siedo e piango.
Non piango per lo sforzo o perché mi ritengo un eroe; non piango neppure per l’emozione d’aver reso un servizio a tutto l’equipaggio che, pecorone, sta dormendo incurante degli sforzi altrui; neanche perché svolgo un compito che non mi compete, ma piango piuttosto di felicità perché ho avuto una illuminazione: a volte per essere felici basta sedersi.

 Dario Bilotti socio di Carmagnola

timone

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