Le scelte-Dario Bilotti

Nonostante le guerre possano giungere al loro epilogo nel peggiore dei modi, le scelte dei militari sono solitamente determinate dall’abnegazione nel tener fede al giuramento fatto, serenamente, con la tranquillità di chi crede in cuor suo di essere nel giusto. I conflitti spesso vengono condotti senza odiare necessariamente il nemico, ma nel cercare di portare a casa la propria vita nel rispetto dei genitori o se si è genitori nel rispetto dei figli. Nonostante ciò, esempi di amor patrio si sono succeduti in mare, in cielo, sulla terraferma. Quelli che le Nazioni chiamano “Eroi” dimostrano che non sempre il valore della propria vita è più importante dell’assunzione di un impegno. Ma è anche naturale e umano poter cambiare le proprie convinzioni in base alle proprie impellenti necessità. Spesso, leggendo le lettere dal fronte, traspaiono sentimenti contrastanti. Il milite si domanda se il suo eventuale sacrificio può essere determinante e, al contempo, se lo sapesse potrebbe in qualche modo variare le sue decisioni. Il futuro prossimo, vicino o lontano che sia, è ignoto e a questo punto non rimane altro che ascoltare la coscienza o sentire “di pancia” quanto si deve fare. Scelta difficile, ma spesso la più ragionevole è quella che scaturisce dallo stomaco e che fornisce i migliori risultati. L’educazione ricevuta in gioventù, la preparazione che porta all’annullamento o all’assopimento della ragione e la convinzione delle proprie idee possono influire sulla condotta in un assalto come in una ritirata, di un combattimento all’ultimo sangue come ad una resa o a offrire la propria vita perché si ritiene giusto farlo avendolo giurato. Essere soldato e combattere, obbligato o volontario, è già di per sé un chiaro esempio di richiesta d’approvazione da parte di coloro che mai si sognerebbero di imbracciare un’arma e che sono pronti a cambiare le proprie sottili convinzioni conformemente all’andamento delle ostilità.  Spesso i discorsi di pace sono in contrasto con la storia dell’uomo, ciò che a volte si afferma va a cozzare con gli eventi succeduti nel passato perché mai o poche volte si cerca di entrare nel quanto vissuto dal Paese a cercarne le ragioni. Notoriamente la storia viene scritta dai vincitori, i quali nascondono le loro pecche attaccando ferocemente la controparte, a volte con ragione, ma molto più spesso per convenienza. Utopicamente si potrebbe ipotizzare un mondo senza violenze sui propri simili, ma la nostra stessa condizione di uomini ci impone la prevaricazione, è insita nell’animo umano. Fortunatamente la coscienza ci obbliga a non metterla in atto, almeno fino al momento in cui qualcun altro se ne assume la responsabilità in nome di uno scontento generale. Allora le coscienze, prese per mano da un condottiero che si fa carico di questo onere, trovano la forza e la determinazione per mettersi in gioco. E’ da tempo immemore che le guerre sono figlie dell’economia, le conquiste di nuove terre sono dettate dalla necessità di possedere o non permetterlo ad altri.

Ma quando il proprio paese è minacciato allora dovrebbe scattare quella molla che obbliga a difendersi, ed è la delega che il popolo concede al militare. Il milite non vuole morire ma se proprio deve lo vuole fare con onore ed è questo che il suo popolo, la sua gente, gli riconoscerà. Ma ai giorni nostri alcune persone che pensano di essere i “sani portatori del verbo”, in malafede o fermamente convinti, giungono a legittimare massacri di massa dei propri soldati da parte del cosiddetto nemico perché inviati a morire dall’uomo forte di turno. Nel deserto o nella neve i soldati prossimi alla sconfitta vedono il ritorno a casa come l’atto che farà dimenticare la crudezza della guerra; ciononostante essi combattono, pur pervasi dalla paura di non tornare dai loro cari, per un’ideale di fierezza e per la parola data.    

Capita anche che dopo un periodo di prigionia, passato il più delle volte in condizioni più che precarie, si torni a casa e nel ricordare con terrore il vissuto si incominci a odiare la causa delle proprie vissute sofferenze fino a quando ci si rende conto che quanto passato è stato lo scotto da pagare per un’idea, alla quale non ci si sottrae così facilmente. E quindi, quasi a rimarginare le ferite inferte, si torna all’idea di base, quella che ha spinto ad eseguire ordini e combattere solo perché lo si riteneva giusto. Si hanno esempi di voltafaccia per interesse e per paura, così come coerenza spinta fino all’estremo dono della propria vita. Poi i brutti ricordi scemano, lasciando spazio solo alle motivazioni e stranamente, nonostante il dolore sopportato, si ritorna sulle proprie posizioni perché sono ed erano ritenute le più consone al proprio intimo desiderio. Non è raro sentire i “vecchi”, coloro che portano sulle loro spalle i segni indelebili dei lutti, la frase ” era meglio quando si stava peggio”. Frase da recepire in senso lato, ma di fronte all’impoverimento dello spirito e dal conseguimento di uno status di benessere non guadagnato ma ricevuto, ci si rende conto che ottenerlo senza sacrificio, anche di vite umane, lascia un senso di inappagamento, perché spesso non viene ricordato tutto ciò che lo ha permesso. Il vincitore ha la tendenza a cercare di stendere un velo che copra le proprie atrocità e celebrazioni per esaltare i propri eroismi, lo fa con ogni mezzo per impedire che la Storia separi il cattivo dal buono e che solo su quest’ultimo ponga l’accento. Il vinto vorrebbe coprire le proprie pecche e ricordare i propri sacrifici. In questo continuo conflitto ideologico l’unico che rimane titubante è colui che nulla ha vissuto di quanto gli viene raccontato. Poi finalmente la Storia parlerà, distribuendo a dritta e a manca colpe e assoluzioni senza convincimenti ideologici, le menti degli ignari si apriranno e potranno giudicare, ma a questo punto le vicende passate saranno solo date da ricordare.

Il tempo sarà giudice e rimarrà una sentenza:” La Pacificazione”, in nome di un paese unito sotto una sola bandiera.  

Dario viso

Dario Bilotti

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