Salita ai laghi – Dario Bilotti

Uomo cane

Il racconto del mese di Dario, pubblicato sul Corriere di Carmagnola

Giovanni si avvicinò a Ugo e gli carezzò la testa per svegliarlo, aveva già preparato la colazione per ambedue, poi uscirono di casa. La mattina era fresca e il sole cominciava a illuminare le cime delle montagne. Montarono in macchina per avvicinarsi al sentiero per salire ai laghi, nel giro di qualche minuto giunsero su uno slargo della strada e Giovanni  parcheggiò la vettura. Aveva deciso di andarsi a fare una passeggiata portandosi dietro Ugo che fremeva sempre per andare in giro alla scoperta di cose nuove. Impegnarono il sentiero, la giovane età di Ugo gli permetteva di essere sempre davanti a Giovanni di qualche metro, si fermava solo per aspettarlo se si spostava dalla mulattiera per buttare uno sguardo alla ricerca di porcini. Il bosco era immerso nell’ombra, il sole non filtrava ancora tra le foglie dei faggi che riempivano pezzi di terra scoscesa lungo il cammino. Lo zaino sulle spalle di Giovanni cominciava a pesare e si chiese dove Ugo trovasse tutta quella energia, ma d’altronde non aveva i suoi trentacinque anni. La salita si protrasse  per una buona mezz’ora e finalmente giunsero al primo pianoro che delimitava il cambiamento di vegetazione, Qualche abete, alcuni pini mughi e il bianco del tronco delle betulle. L’erica colorava di viola qua e là, spuntando da sotto le rocce che punteggiavano, come elementi posti per interrompere la monotonia della bassa e rada erba, il bordo del sentiero. Ugo si fermò come spaventato, fissava un punto fisso tra alcuni grossi sassi. Giovanni si accorse subito che lo sguardo era di terrore e il pericolo si fece anche sentire, una grossa vipera arancione soffiava sentendosi minacciata. Bastò un colpo di bastone sul terreno affinchè le vibrazioni facessero scappare il serpente, che silenziosamente infatti si girò su se stesso e velocemente tornò a nascondersi. Rinfrancato, Giovanni spronò Ugo a proseguire la salita. Dopo una camminata sotto un sole ormai diventato alto e cocente si fermarono a bere la fresca acqua che sgorgava da sotto un masso coperto di muschio. Un bel porcinello rosso faceva bella mostra di sé alla base della betulla  che carica di foglie ballerine si sporgeva sul sentiero;  il colore della testa del fungo era una macchia che interrompeva il verde delle basse piantine di timo  e il giallo della genziana il cui alto stelo  ondeggiava assecondando il lento spirare di una bava di vento. La stessa betulla concedeva un poco di frescura sotto la sua tremolante ombra. Dalla strada la montagna sembrava si arrotondasse man mano che saliva, forse perché ormai le piante erano state soppiantate da bassi cespugli. Giovanni e Ugo si sedettero fianco a fianco per prendere fiato. La sosta durò poco, la meraviglia che li aspettava sembrava mettesse loro fretta. E finalmente lo splendido blu cominciò a farsi vedere. Giunsero alla sommità  per poi discendere  nella conca dove gli invasi creati da due ghiacciai ormai disciolti riflettevano il colore del cielo. Saltuariamente cerchi concentrici si allargavano sulla superficie dei laghi creati da trote o salmerini che “bollavano”, rompendo l’acqua, per catturare gli insetti che ci si appoggiavano.

Nuovamente seduto Giovanni si terse il sudore, si sfilò gli scarponi e i calzettoni e subito sul suo alluce si appoggiò una farfalla con l’addome esile e a strisce rosse e nere, come nere con riflessi bluastri erano le ali. Aprì lo zaino e divise il panino con il salame con Ugo, il quale appena terminato di consumare il frugale pasto  continuò l’esplorazione, la sua curiosità era tanta essendo la prima volta che saliva così in alto. Di soppiatto si avvicinava dietro i grossi massi lungo le rive del lago più grande e appena si sporgeva mostrando il capo, le rane si tuffavano in acqua e le sanguinerole si allontanavano velocemente verso il centro. Le marmotte sempre attente tenevano d’occhio gli intrusi che stavano invadendo il loro spazio fischiando ma senza essere viste, per allertare le compagne. Molto lontano e molto in alto anche un’aquila volteggiava maestosa  sul suo territorio. Giovanni, beandosi della leggerissima brezza che gli carezzava il viso si sdraiò, sopportando il freddo che la maglietta intrisa di sudore che velocemente si era incollata alla sua schiena  gli trasmetteva  in quanto rinfrescata dall’erba del prato. Ogni tanto alzava il capo per controllare il suo giovane compagno di camminata che correva e saltellava quasi fosse stato morsicato da una tarantola e sorridendo si appisolò. Un breve, brevissimo sonno rigenerante in cui addirittura sognò. Appena si rese conto di essere ben sveglio si sciacquò il viso con l’acqua freddissima del lago notando  la purezza e la trasparenza del liquido elemento, sul quale si riflettevano le poche eteree nubi  che sporcavano il meraviglioso azzurro intenso del cielo.            La superficie era talmente calma che la associò allo specchio del bagno dove si guardava la mattina appena desto…considerando che l’impressione del posto in cui si trovava in quel momento era sicuramente  migliore. Si stirò fino a quando senti lo scricchiolio delle ossa e male al collo per la posizione assunta durante la breve siesta. Ritirò nello zaino tutto quanto vi aveva tolto, controllò di non aver lasciato rifiuti per terra e finito l’inventario si mise lo zaino sulle spalle. Era pronto, carico per il ritorno. La sosta terminò, Giovanni chiamò Ugo, il quale  sembrava non sentisse visto che si era allontanato parecchio, addirittura sull’altra sponda, comunque sempre sotto uno sguardo amorevole… quasi sempre. Questa volta due dita in bocca per un fischio e un gesto eloquente del braccio lo convinse a tornare. Presero la via per la discesa a valle, ripercorsero a ritroso la strada e sicuramente si rinfrescarono solo quando si infilarono sul sentiero ombroso che serpeggiava nel bosco. Giovanni tenne vicino a se Ugo e spuntarono sulla strada asfaltata, si sedettero in macchina e si diressero verso il paese. Dieci minuti bastarono per coprire la distanza e giunti in piazza parcheggiarono sotto un sole terribile. Stefania li stava attendendo sull’uscio e appena li vide il suo viso si illuminò esclamando ” eccoli i miei amori”, entrò in casa velocemente e ne uscì con un grosso bicchiere di spumeggiante birra  per Giovanni e mise per terra una ciotola colma d’acqua fresca per Ugo.

Dario viso Dario Bilotti

Copia dell’articolo 

salita al lago

 

timone

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