Una fine ingloriosa

Quando andammo in bacino a La Spezia con il Vittorio Veneto, per i lavori di carenatura e sistemazione assieme a vari ordalt al sistema guida missili, venni letteralmente aggredito da un maresciallo, del quale non ricordo il nome, che si mise ad infierire su di me, sistematicamente . Ogni occasione era buona per biasimarmi e successivamente schernirmi. Un giorno, eravamo intenti a sistemare nelle scatole i pezzi cambiati ai radar guida missili perché dovevano tornare negli USA . Non ricordo esattamente perché ma il maresciallo ( ricordo solo che era un Capo di seconda siciliano ) con quella voce stridula, quasi femminile che lo caratterizzava, si mise ad infierire per l’ennesima volta su di me senza apparente motivo. Un amico sergente radarista del corso 67 ( non ricordo il cognome ma solo che si chiamava Daniele ) prese le mie difese per un attimo e lui gli disse che era punito e che avrebbe scontato 10 giorni di arresti. Non ci vidi più, presi una chiave inglese che era sopra ed uno scatolone e gliela tirai addosso. Lui la schivò per un pelo, e nel tragitto schivò anche un Tenente di Vascello che stava sopraggiungendo in quel momento richiamato dagli schiamazzi. A quel punto mi resi conto che avrei passato un brutto quarto d’ora. Infatti il tenente mi portò direttamente dal Comandante Papili , che mi accolse con una calma incredibile. Mi chiese di dire la mia versione visto che aveva appena sentito la versione del maresciallo. Dopo chiamò alcuni miei compagni di lavoro che confermarono che ero perseguitato dal maresciallo. Con voce pacata e paternale mi disse: figliolo, tu puoi avere tutte le ragioni del mondo ma non dovevi reagire in nessun caso. Ora rischi il carcere militare per insubordinazione !
Prese il telefono e chiamò l’infermeria. Dopo un po’ arrivò il capitano medico responsabile dell’infermeria: gli disse testualmente: trovi una soluzione che eviti di rovinare questo ragazzo! Mi salutò dandomi addirittura la mano, e andai in infermeria. Il Medico mi disse che l’unica soluzione era di ricoverarmi in ospedale al reparto neuro, per ” stati ansiosi “. Gli feci notare che cosi mi avrebbe bloccato la carriera e lui mi disse di stare tranquillo che me la sarei cavata ” soltanto” con un ritardo nella promozione a sergente.
Dopo una ventina di minuti ero su una Jeep in viaggio verso la neuro di La Spezia.
Quando arrivai in camerata, pensai di essere giunto al capolinea! ” Sembravano” tutti matti sul serio! Si misero a ridere, saltare sul letto, urlare frasi sconnesse. Dissi all’infermiere che non pensavo di riuscire a stare con quel manipolo di emarginati. Lui per tutta risposta si mise a ridere e con una pacca sulla spalla mi disse di cercarmi una branda. Poi a voce alta urlò : ” e voi non rompete i coglioni che tanto so che fate finta”, e se ne andò. Passarono circa due minuti , il tempo di cercare di mettere le mie cose nell’armadietto, che mi ritrovai assalito da una decina di scalmanati, che mi riempirono di scritte con due pennarelli, uno rosso ed uno blu su tutto il corpo specialmente in faccia. Pensai ” qui la faccenda si fa seria. Ma mi sbagliavo! Se c’è stato un periodo in cui mi sono veramente divertito è stato proprio quei tre giorni alla ” neuro “. Erano divertentissimi e ne abbiamo fatte di tutti i colori. Altro che matti: erano solo ragazzi che si erano inventati una scusa per farsi congedare anche perché erano tutti di leva.
Dopo tre giorni appunto, durante i quali non mi diedero nulla se non da mangiare, fui chiamato dal primario ” dei matti” che dopo un paio di minuti in cui lesse la mia cartella clinica ( ? ) tirò fuori una lettera che, mi disse , era del comandante Papili in cui si raccomandava di ” aiutarmi”.
Poi, con fare professionale mi disse: preferisci due mesi di licenza di convalescenza o tre mesi di destinazione a terra? Io lo guardai e dissi: sono domande da fare?
Bene, disse ora torna in camerata e prepara la tua roba che ti dimetto.
Tornai in camera tutto contento perché avrei trascorso due mesi di licenza a casa. Tutto sommato non mi è andata poi cosi male pensai. Ma la dura e cruda realtà doveva ancora farsi sentire!
Andai giù nell’ufficio ricoveri e l’infermiere mi disse di aspettare che stavano compilando i biglietti del treno . Quando me li consegnò li lessi e mi crollò il mondo in testa. Erano i biglietti di sola andata per Siracusa con destinazione Cava di Sorciaro , Priolo Melilli. E che cazzo di posto è dissi. Mi aveva promesso due mesi di licenza, … ma allora non ha capito nulla!
In altre parole il medico aveva ritenuto opportuno un periodo di punizione che mi avrebbe giovato meglio che la licenza!
I fatti
Ci misi 24 ore esatte ad arrivare a Siracusa. Lì, trovai un sergente e due marinai che mi aspettavano per portarmi a destinazione con un furgone cassonato ( un 238 Fiat ) . In tutto aveva tre posti con l’autista : mi fecero caricare tutti gli zaini, coperta e quant’altro nel cassone, dopo di che il sergente mi disse di accomodarmi ” seduto sul mio zaino ” . Appena usciti dalla città facemmo una decina di chilometri in mezzo a campi di agrumeti e ed ulivi. Terra brulla con poca vegetazione ed i muretti a secco che delimitavano i campi. Un’infinità di fichi d’india ed altri fiori selvatici colorati di azzurro e giallo. Nell’aria si sentiva un intensissimo profumo che poi mi dissero essere di zagare. Infatti il periodo era quello della fioritura dei limoni ,aranci e mandarini. Dopo circa una ventina di minuti e parecchi scossoni per le strade dissestate, arrivammo a destinazione. Ora con il senno del poi mi rendo conto che era un posto stupendo a mezza collina con un panorama stupendo e rivolto verso il mare. Allora però mi sentii a disagio . Ricordo che mi venne da piangere. Chiesi di andare dal comandante ma forse per pietà o perché puzzavo, mi dissero: fai una bella doccia, sistemati le tue cose e poi ti porto dal ” comandante “.Molto probabilmente le 24 ore di treno cominciavano a ” farsi sentire”. Pur essendo a Settembre il caldo era insopportabile e … si dava da fare con le mie ghiandole sudoripare.
Già … il comandante … era un Capo di prima classe! Devo ammettere che sono stato trattato veramente bene. Mi fece accomodare subito mi fece portare una tazza di caffè che, non so se per il viaggio o per che altro, era veramente ottimo. Tant’è che in seguito per tutto il periodo bevvi sempre dell’ ottimo caffè. Poi mi spiegò di cosa si trattava: era un deposito di munizioni e missili della Nato . C’erano delle gallerie all’interno della collina in cui erano stivati i missili, e due garitte dove veniva espletato il servizio di guardia con il colpo in canna e tanto di parola d’ordine e controparola. C’era da prestare la massima attenzione perché spesso arrivava la ronda Nato e quelli non scherzavano.
Dopo un periodo di circa 20 giorni in cui mi fecero fare le guardie in garitta, con ciclo a giorni alterni , il Capo mi chiamò e mi disse : ho due notizie , la prima è che ti è arrivato il decreto di ritardo della promozione a sergente per un periodo di nove mesi. La seconda è che da domani inizi a fare il capo posto nella guardiola a metà percorso, perché a me non interessa della punizione. Sei valido e sveglio e ti voglio dare fiducia. Da un lato la delusione della punizione che comunque aspettavo . Da un altro invece ero sollevato anche perché la guardiola era illuminata, riscaldata ( alcune notti in Dicembre si passava dai 20 gradi del giorni a 6/7 gradi di notte. L’escursione termica era incredibile. In effetti eravamo a circa seicento metri di altezza e, se di giorno il sole “meridionale” si faceva sentire, alla notte le temperature precipitavano) C’era la radio trasmittente e quella da ascolto/relax. Mi ascoltavo della buona musica anche se sempre a volume molto contenuto per restare in allerta. Pensai di essere riuscito a tranquillizzarmi e rassegnato a finire quel periodo di ” punizione” con lo scorrere giornaliero delle mansioni di routine.
Anche li mi sbagliavo! Me ne succedettero di tutti i colori.
Come capoposto dovevo provvedere alla sveglia ogni due ore dei ragazzi di guardia. Il maresciallo si raccomandò di non svegliarli mai dalla parte del viso ma dai piedi; il motivo era semplice: dormivano con il coltello a serramanico sotto il cuscino! Tipi un po’ agitati, disse. All’anima! Chiamali agitati risposi.
Una notte ero nella guardiola che mi ascoltavo un programma di canzoni, quando sentii chiaro il rumore di una raffica di mitra provenire da sinistra. Girandomi d’istinto percepii anche la fiammata dello sparo. Provai a chiamare il marinaio in garitta con la radio di servizio e pure con l’interfonico, ma non ottenni risposta. Inforcata la giberna ed il cinturone con pistola inforcai la bici d’ordinanza e trafelato corsi verso la garitta che distava circa un chilometro e mezzo. Arrivato a circa cinquanta metri fui accolto con un’altra raffica di MAB che per fortuna era ben sopra la mia testa e poi l’urlo: Chi va là … parola d’ordine!
Testa di cazzo, urlai sono io! Prima devi chiedere la parola d’ordine e poi eventualmente sparare. Tutto balbettante e tremante mi chiese scusa e mi venne incontro. Lo disarmai ( non era in condizioni di tenere un MAB in mano ) e gli diedi un sorso d’acqua della borraccia in dotazione. Gli chiesi cosa fosse successo. Mi rispose che aveva sentito chiaramente un rumore e dei movimenti al buio e che non avevano risposto al suo ordine. Con cautela mi avvicinai alla garitta con lui dietro che tremava come una foglia. Accesi la torcia e mi colse un misto di riso e terrore per quello che si parava ai miei occhi: A terra esanime giaceva una mucca crivellata di scolpi di mitra con il cranio fracassato! Aveva fatto fuori una mucca! Pazzesco. C’era anche un buco sul campanaccio legato al collo.
Quello che è successo dopo ha del fiabesco. Il proprietario continuò a sostenere che era colpa della caserma che non sistemava la recinzione ( in effetti non aveva tutti i torti, era un colabrodo ) e che gli animali camminano di istinto in cerca da mangiare. Ma quello che fu più divertente sicuramente la sua richiesta: voleva una mucca uguale e non i soldi. Al processo dove dovetti andare anch’io, finalmente si accontentò di un risarcimento in denaro.
Un’altra volta un marinaio durante la guardia sparò in aria dicendo che aveva visto un disco volante. E via di questo passo. Mah! Ora che scrivo lo trovo divertente ma allora erano continui grattacapi.
In quel periodo iniziò anche la mia avventura più drammatica che rischiò di portarmi all’altare a sposarmi.
Premetto che il paese, Priolo, era il classico paesello siciliano di quei tempi con stradine strette e case con gli scuri quasi sempre chiusi o socchiusi. In giro di giorno pochissima gente e di sera … una botta di vita pazzesca. Manco un cane! Un sabato sera decidemmo con dei colleghi di andare a Siracusa a vedere se c’era qualcosa di più. Trovammo una sala da ballo che ci stupì tutti. Un sacco di ragazzi e ragazze che ballavano e si divertivano come matti. Incredulo vidi addirittura parecchie coppie che si baciavano incuranti degli altri. A quei tempi non era per niente facile vedere di quelle scene specialmente nella Sicilia di allora. Rimasi piacevolmente stupito e contento. Dopo un po di ambientamento decisi di chiedere a qualche ragazza di ballare un lento ( allora si chiamavano cosi) Noi eravamo in divisa e naturalmente le ragazze ci tampinavano per lo stipendio sicuro. Alla prima chiesi di ballare ma mi disse di no. Poi la seconda che tra l’altro era anche molto carina mi disse di si. Tra me e me pensai: speriamo facciano ancora lenti perché qui ho perso un sacco di tempo. Salimmo in pista a ballare ma non riuscivo ad avvicinarla oltre quella che secondo lei era la distanza di sicurezza. Praticamente le mie mani toccavano a malapena i suoi fianchi. Ed inoltre mi teneva sempre le mani sopra al bacino, guai ad abbassarle. Mentre ballavo la guardai bene negli occhi: erano profondi e scuri come la pece. Capelli corvini ed un viso da bambina. Le chiesi come si chiamava e lei: perché lo vuoi sapere? Eccheccazzo dissi io, potrò sapere con chi ballo? Sorrise e mi disse di chiamarsi Francesca. Non le ho chiesto l’età ma non credo avesse più di 18 anni. Dopo un altro ballo lento cominciarono ancora i balli di gruppo con inforcata di Beatles e New Trolls. Passammo un paio di orette dopo di che era già ora di rientro. Uno sfuggevole saluto che come percepii la deluse e tornammo in casermetta. Ricordo che durante il tragitto pensai a come mi continuava a guardare mentre scherzavo con i colleghi. Ma poi me la misi via e me ne dimenticai. Tutto questo successe in Dicembre verso fine anno. Il giorno dopo il Comandante mi chiamò per comunicarmi che avevo finito il mio periodo in Sicilia. Era arrivato il movimento per imbarco su Nave Intrepido. Da un lato ero contento di tornare a bordo: io ero fatto per il mare e non per fare il marinaio a terra. Però da un altro lato mi resi conto che quella banda di matti, quella casermetta e tutte le avventure passate in quel breve periodo di tre mesi mi sarebbero mancate. Mi sarebbero mancati i colpi di testa di certi marò , le viole raccolte in Dicembre ( quando lo raccontai a mia madre ricordo che disse di tenerlo nel cuore come ricordo di ciò che può fare la natura) le serate limpide e piene di stelle trascorse a sognare il futuro. Mi sarebbero mancati i gesti di altruismo che identificavano gli abitanti dei dintorni della base. Quante volte mi diedero delle casse di arance succose e dorate raccolte dalla pianta già mature ( cosa già allora quasi un’utopia per noi al nord ).
Ma torniamo a noi. Io me ne stavo andando accompagnato con il solito 238 da un sergente verso la stazione quando incrociammo una Fiat Seicento . Per un attimo mi era parso di riconoscere la ragazza seduta a fianco dell’autista, sembrava Francesca. Ma va! Dissi, possibile? Poi non ci pensai più. Arrivammo a Siracusa , saluti di commiato , abbracci di circostanza con relative strette di mano e promesse di futuri incontri. Poi salii sul l treno per recarmi prima a Messina e poi a Taranto, dove era in transito l’Intrepido destinazione Nord Africa. Quando arrivai a bordo mi accolse quello che poi diventò il ” mitico Capo Verdi ” Mi accompagnò in SGM e mi mostrò il mio posto di lavoro con tutte le spiegazioni del caso. Li sarebbe cominciata la mia nuova vita da marinaio con le varie avventure e viaggi. Ritrovai Moreno, conobbi altri Em del 67 come Frandi e altri . Conobbi quello che era il nostro capo servizio missili e che avrei ritrovato dopo quarant’anni come Capo di stato Maggiore, l’allora Tenente Paolo la Rosa.
Ma questa è un’altra storia.
Due giorni dopo il mio imbarco sull’Intrepido, stavamo preparando per la crociera in Nord Africa , Grecia Turchia, quando mi sentii chiamare dal sergente di guardia a poppa; al telefono mi disse che giù dalla nave c’erano delle persone che erano arrivate fin dalla Sicilia per parlarmi. Che? Dissi io … ma che vogliono? Fortunatamente il sergente di guardia, li allontanò per motivi di sicurezza dicendo loro che avrebbero dovuto aspettare l’orario della franchigia. Poi venne da me e mi raccontò che erano in quattro: padre madre e due figli un maschio ed una femmina. La ragazza era la più giovane e avevano detto che avevo disonorato la ragazza e che me la dovevo sposare. Pazzesco! Era Francesca con i suoi. Allora andai dal comandante e lo misi al corrente della faccenda. Si mise a ridere e mi disse di stare tranquillo. Quella sera non sarei andato in franchigia e alla mattina alle quattro e mezza si salpava destinazione Orano. Quindi, secondo lui nei due mesi e mezzo che dovevamo stare fuori dall’Italia si sarebbero stancati e mi avrebbero dimenticato.
Questo è quello che lui credeva. Alla fine della crociera arrivammo a Spezia e non vedevamo l’ora di uscire in franchigia. Ma da poppa, dove avevo il mio posto di manovra, mentre stavamo entrando in porto rimasi fulminato: erano sulla banchina ad aspettare, questa volta solo il padre e Francesca! Dentro di me dissi: ma come cazzo fanno questi a sapere dove, quando e soprattutto come fanno ad entrare in Arsenale? Fatto sta che dopo essermi dileguato con il permesso di capo Verdi, quella volta dovetti rinunciare alla franchigia e il comandante scese dalla nave e lo convinse, non so come, che ero stato trasferito di nuovo con destinazione riservata. Non ricordo il nome del comandante e me ne rammarico perché fu l’unico che mi salvò da “morte certa”.

 Giancarlo Montin

timone

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