Dal “Racconto del mese” del Corriere di Carmagnola, un’altra storia di Dario Bilotti
Il racconto del mese… Vacanze sotto la neve
Entrò in casa, velocemente si spogliò e depose tutto il vestiario sul letto, si infilò nella doccia, si fece la barba, si vestì con abiti puliti e dopo aver preso la borsa con i suoi effetti personali e qualche cambio di biancheria intima, preparata la sera prima, uscì di casa. Come si suol dire la fretta gli mise le ali ai piedi. Fortunatamente abitava vicino alla stazione ferroviaria e questo gli permise di giungere al treno cinque minuti prima che partisse. Il viaggio fino al paese sotto le montagne durò un’ora. Sceso dal treno attese il pullman che lo avrebbe portato al paesino dove finalmente avrebbe riposato una settimana, ospite della sorella Francesca e del cognato Paolo e festeggiare l’imminente Natale e l’arrivo del nuovo anno. Altre due buone ore di torpedone lo attendevano. Si mise comodo vicino al finestrino con l’intenzione di leggere un po’ sfruttando la poca luce diurna rimasta. Ben presto si addormentò; si svegliò alla prima fermata dove salì una marea di gente che riempì ogni posto disponibile. Una voce femminile lo distolse dai suoi pensieri chiedendogli se il posto accanto al suo fosse occupato. “Prego, si segga pure, è libero ”. Il giovane notò subito il bel visino della ragazza che gli si sedette accanto dopo essersi tolta il piumino che l’avvolgeva; profumava di fresco, trucco ridotto al minimo, era veramente carina. Ma si rituffò nella lettura fino a quando di riaddormentò. Quanto tempo dormì non lo calcolò ma si destò sentendo il rumore del libro caduto sul pavimento e subito dopo vide la mano della ragazza che dopo averlo raccolto glielo porse.
“Mi scusi, sono talmente stanco che non riesco a tenere gli occhi aperti”
“Ma le pare, capisco” rispose lei. Il ghiaccio si era rotto.
“Visto che il viaggio sarà relativamente lungo, la tengo sveglio”, continuò lei.
“Mi chiamo Elda, ho affittato un alloggetto a Boscosotto, una settimana di relax estremo con tanta neve attorno, spero, per dedicarmi follemente alla lettura”. “Piacere, io sono Giacomo. Sto raggiungendo mia sorella alla frazione di “Betulle”. Intervenne un signore seduto su uno dei sedili davanti ai loro che avverti Giacomo che alla frazione il pullman non arrivava, era oltre Boscosotto e che la strada era praticamente un sentiero sterrato talmente stretto che una vettura o saliva o scendeva, due contemporaneamente non ci stavano. Giacomo già lo sapeva, d’altronde il cognato aveva affittato la baita appunto per godersi le ferie in inverno e in montagna, e si ricordò che avrebbe dovuto chiamare la sorella per comunicarle l’ora d’arrivo. Cosa che fece, poco campo ma riuscì finalmente a prendere la linea. Apprese dalla viva voce di Francesca che la neve già scendeva copiosa da circa due ore, quello sciagurato del marito non aveva gomme termiche e aveva dimenticato le catene a casa. Aggiunse che aveva paura di viaggiare visto che la strada non si vedeva addirittura più. Un bel problema. Giacomo divenne nervoso e si chiese: questa è l’ultima corsa, se non viene a prendermi cosa faccio, dormo in piazza sotto la neve? Elda si accorse dell’inquietudine del ragazzo e senza che lui le spiegasse il disagio, capì. Lo rassicurò che in qualche maniera avrebbero trovato una soluzione. Nel frattempo, come prospettato, la neve cominciò a imbiancare il paesaggio. Giunti finalmente a Boscosotto, Giacomo richiamò Francesca e questa, disperata, gli disse che mai e poi mai sarebbero scesi a prenderlo. Si scusò preoccupata perché non sapeva cosa fare, ma d’altronde il rischio era troppo. Elda decise d’impulso. “Dai Giacomo, vieni da me, ci sistemiamo almeno per stanotte in qualche maniera, non ho idea della casa, ma siamo giovani e ci adatteremo”. Scesi dal pullman e scaricati i bagagli, cominciarono a chiedere ai paesani infreddoliti nell’unico bar del luogo la casa a cui erano destinati. Gentilmente li accompagnarono fino sull’uscio. Casa in pietra, portone in legno molto spesso e alquanto grezzo, dimostrando la bellezza della vetustà. La porta d’ingresso era aperta, come si usa ancora nelle zone in cui l’onestà è un principio di vita. Basta girare la maniglia. Entrati in casa attendeva loro una bella sorpresa. Tutto rigorosamente in legno, la cucina dotata di ogni cosa, un tavolo in massello spesso dieci centimetri, due sedie e due panche in fondo alla stanza quasi in un angolo e al centro una stufa a legna di ceramica con la canna fumaria che saliva e forava il soffitto. La stanza era enorme, la stufa era accesa, il legno crepitava nel forno della stessa e di fianco una gran-de cesta piena di legna da ardere. Il proprietario aveva pensato a tutto. Addirittura il frigo conteneva prodotti mangerecci di varia natura. Dal lato opposto del tavolo una scala, anch’essa in legno, conduceva al piano superiore. I due la impegnarono e aperta una porta ne videro altre due chiuse. Una conduceva alla camera, con un letto da una piazza e mezzo che odorava di legno, lenzuola pulite e un grosso armadio, vuoto. E poi il bagno, vasca, doccia, mobile con lavandino e specchio. Ma ciò che più rendeva fenomenale l’ambiente erano due grosse e pesanti tende che celavano due finestre, una che apriva lo sguardo su un pianoro che conduceva alla base della montagna e una con lo sguardo sulla piazzetta, dove due lampioni illuminavano con una luce rotonda e gialla il selciato interamente coperto di neve. Una vista fantastica. La canna fumaria anche qui nel centro stanza fungeva da diffusore di calore, infatti la temperatura era tale da poter permettere di stare in maglietta. Tornarono di sotto e si prepararono da mangiare. Nel mentre studiavano la sistemazione per la notte. Ulteriore telefonata di Giacomo alla sorella per tranquillizzarla e rimandare a poi le decisioni per i giorni a venire. Ormai la confidenza la faceva da padrone tra i due giovani. Avrebbero dormito lei sul letto e lui per terra su un piumone, relativamente vicino alla canna fumaria e coperto con un pesante plaid. Rimasero a parlare fino alle ore piccole, poi quando la stanchezza cominciò a farsi sentire decisero di andare a dormire, Giacomo voleva provare a farsi il bagno nella vasca, chiese il permesso alla sua gentile ospite e lo ottenne, attese che Elda si ficcasse, dopo le abluzioni, sotto le coperte e poi riempì di acqua calda l’enorme catino e ci si adagiò. Quando si rese conto che rischiava di addormentarsi in acqua a malincuore uscì. Si asciugò per bene, silenziosamente entrò in camera e si adagiò sul relativamente scomodo giaciglio. Si addormentò. Il problema fu un paio di ore più tardi, si svegliò, la temperatura era calata, occorreva attizzare il fuoco nel camino. Si alzò e scese al piano inferiore, infilò nel forno due bei ciocchi di carpino, attese che le fiamme avvolgessero la legna e tornò su a dormire. Si riaddormentò e questa volta lo risvegliò la voce suadente di Elda che lo invitò a dormire accanto a lei. Giacomo era titubante, gli sembrava di approfittare fin troppo dell’accoglienza, ma l’insistenza di Elda lo convinse. Lontano dal camino l’aria era fresca quindi tremante si infilò sotto le coperte. La simpatia e la gioventù ebbero il sopravvento. Fecero l’amore. Giacomo si addormentò per l’ennesima volta, felice e appagato iniziò a sognare.
Una voce lo chiamò:
“Giacomo, sveglia, sono le sei » e lui “Perché mi svegli?”.
“Devi andare a lavorare”
“Ah, già, grazie mamma”.
Dario Bilotti
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