Solino Blu-Dario Bilotti

“Dove vai figliolo con il fagotto sulle spalle, i tuoi fratelli sono nei campi a lavorare con tuo Padre e tu qui, a far nulla”.

“Cara Madre vado ad arruolarmi per difendere la Patria”.  

“Hai solo sedici anni, perché non pensi allo strazio che provochi a questa tua povera Madre”.

“Sì, cara Madre, ma il Paese mi chiama e poi considerate che l’inverno si avvicina e ci sarà una bocca in meno da sfamare”.

“Tuo Padre è a conoscenza di questa tua decisione?”

“No Madre, ma conto sulla vostra delicatezza per farglielo sapere”. 

“Vai figliolo, fatti onore, e pensa a noi che temiamo per la tua sorte”.

“Su Madre, non stringetemi così forte e non piangete, tornerò, ve lo prometto. Salutatemi tanto Ester, Domenico e Francesco, abbracciate Primo, come fratello più vecchio ha sempre avuto per me un grande affetto. Abbracciate forte la piccola Ersilia”.

E Giacomo, dopo aver accarezzato il suo cane, si incamminò verso il paese a passo svelto, superò i prati con l’erba ancora da tagliare, attraversò il torrente saltando di sasso in sasso per accorciare il cammino e dopo un tragitto di venti minuti giunse in paese. Fieramente e con mano ferma appose nome e cognome sul documento dell’arruolamento: Giacomo Baudone. 

Montò con lo scarno bagaglio su un camioncino con altri giovani paesani e dopo un lungo viaggio giunse a Torino. Venne visitato sommariamente al distretto militare e quindi con gli altri giovani imbarcato su una tradotta diretta a La Spezia.

Una notte interminabile e terribile su panche di legno che gli tolsero sonno e appetito. Senza rendersene conto si trovò all’Ospedale Militare per la visita medica e gli esami psico-attitudinali. Nonostante la massiccia prestanza e la prorompente muscolatura, il fatto di saper leggere e scrivere finì per assicurargli un posto comodo in ufficio: furiere. Ma Giacomo ci rimase male, voleva combattere e alle sue rimostranze un graduato gli sostituì la categoria. Fu così che divenne puntatore stereotelemetrista.

Nuova serie di esami per l’idoneità e inviato, superati questi, alle scuole CREM di Pola. Breve ma intenso corso immerso in una realtà inimmaginabile fino alla settimana prima, disciplina ferrea ma costruttiva. Imparò la tecnica, ma capì da subito che il suo arruolamento lo avrebbe definitivamente legato alla lealtà verso il suo Paese. Inviato su un Cacciatorpediniere di base a Taranto non ebbe nemmeno il tempo di comunicarlo alla famiglia. Il giorno dopo l’imbarco prima uscita in mare in scorta convogli. Non abituato al mare agitato vomitò l’intera giornata e la notte seguente, non mangiò nulla, ma con il viso pallido e scarno continuò il suo servizio in torretta in compagnia del secchio dove poter depositare il sempre meno cospicuo contenuto dello stomaco, fino a quando lo finì. I conati continuarono, gli sforzi inutili per rigettare ciò che non aveva più gli sconvolsero il fisico, dolorose fitte lo accompagnarono fino a quando l’assuefazione gli tolse ogni dolore. Il battesimo del fuoco non tardò, quasi all’imbrunire del secondo giorno una vedetta in plancia avvistò la scia di un siluro che velocemente si avvicinava, Giacomo in cuffia captò la tensione che aleggiava, ma la perizia del comandante evitò la collisione con l’ordigno. Messa in atto la ricerca del sommergibile e sganciate le bombe di profondità la nave attese il tempo necessario per capire se la caccia avesse avuto effetto e quando una chiazza di olio macchiò la superficie del mare Giacomo ebbe un sussulto di gioia sperando di poter dare il suo apporto per la vittoria. Cosa che avvenne. Emerse la torretta del nemico, egli con precisione batté la distanza senza preoccuparsi dei proiettili del cannone inglese che reagiva all’attacco e il 120 di bordo rispose al fuoco colpendo l’avversario con una sola bordata. Scese dalla torretta a cambio guardia e si diresse in coperta per aiutare i suoi camerati ad imbarcare i naufraghi del sommergibile e mentre favoriva la salita a bordo degli sfortunati marinai nemici lungo la biscaglina, pensò alle loro madri che sicuramente erano in pensiero per i figli.

Visualizzò in un istante momenti di duro lavoro a casa, si rivide sui campi con la falce in mano a tagliare erba, tergersi il sudore, bere acqua fresca dal ruscello e vedere la Madre che avvisava a gran voce dalla casa sottostante che era l’ora del rientro e della cena. Rientrato il cacciatorpediniere in porto nel Mar Piccolo si informò su quanto potesse scrivere alla sua famiglia, saputo quanto richiesto e facendo attenzione ai dettami della censura si apprestò a redigere due lettere.

“Cara Madre, quanto sto per scrivervi non è la paura per la fine della mia vita, voglio però mettervi a conoscenza che il pericolo è sempre in agguato. Mangio cinque volte al giorno, in navigazione anche a mezzanotte, ho tanto vestiario e ho tanti amici con cui divido il bene e il male. La Patria mi mette a disposizione più di quanto io abbia bisogno. Sono allegro e fiducioso in una vittoria che vi renderà orgogliosi di me. Se il buon Dio che ci accompagna in ogni occasione vorrà, potrò tornare a casa e raccontare a voi tutti quanto l’amore per l’Italia mi sia di conforto. Vi prego, abbracciate i fratelli e la sorellina, date un bacio a mio Padre, da sotto i suoi grossi baffi esploderà un sorriso e vorrebbe avermi vicino per far uscire dalle sue grosse callose mani una morbida carezza”.

Scrisse la seconda lettera. A Diva, la figlia del fornaio, confessò finalmente quanto provava per lei e soprattutto l’imbarazzo che avrebbe provato dicendoglielo a voce, le promise che sarebbe tornato e le avrebbe chiesto di fidanzarsi con lui e che voleva formare una famiglia con tanti figli e perché no, continuare la vita di Marinaio trasferendosi al mare che tanto cominciava ad apprezzare. Che amava la scelta fatta tanto quanto amava lei.

Imbucate le lettere in arsenale, dopo il vaglio della censura militare, rientrò a bordo giusto il tempo per mollare gli ormeggi. Il cacciatorpediniere uscì dal ponte girevole.

Velocemente si portò in mare aperto, direzione sud, ma rientrò la mattina seguente, falso allarme. Con lena, Giacomo si adoperò per tenere pulito il locale dove dormiva, dopo aver ben chiuso l’amaca spazzò il pavimento e sistemò il suo vestiario nello zaino. Gli sarebbe piaciuto poter dormire in un posto tutto suo, ma pensò che in occasione del freddo la branda calda sarebbe stata ben accetta. Rimpianse per un istante il suo letto di legno con il materasso riempito di foglie. Si trovava bene con i compagni, con essi passava ore in spensierata allegria e scoprì che erano tutti entusiasti di combattere per un fine comune.

Finalmente volle uscire in franchigia. Orgoglioso dell’uniforme che indossava passò la rassegna per la libera uscita e cedendo alle insistenze dei compagni più vecchi si armò di coraggio e decise di seguirli in una casa chiusa appena fuori dall’arsenale.

Salito sul barcarizzo salutò la bandiera e prima che facesse il primo passo per scendere un urlo lo bloccò. “Baudone dove vai?”.  Capo Cannone con viso accigliato lo avvertì che uno stereotelemetrista usciva solo con lui. “La tua vista è importante e non possiamo permetterci in nessun caso un suo calo e i rapporti sessuali ne sono una causa. La prossima volta chiedi a me e io deciderò”.

Tornò a bordo, rimandò la sua prima esperienza a data da destinarsi, magari con Diva.

Due giorni di preparativi ed esercitazioni e poi “pronti a muovere”. Un posto di manovra effettuato velocemente e nuova uscita dal ponte girevole. Il Caccia doveva unirsi ad altre unità per scortare navi trasporto fino in Africa del nord, cercando di fermare la flotta inglese intenzionata a bloccare i rifornimenti italiani in Libia. Giunto sul luogo della scorta alla flotta, navigò su un mare liscio come l’olio, superò le grandi navi grigie e invertì la rotta innumerevoli volte per garantire alle Corazzate, agli Incrociatori e ai Cargo una efficace copertura. Giacomo salì in torretta, voleva farsi valere, l’encomio ricevuto al suo primo combattimento dal comandante era sì gradito, ma forse era dovuto al caso. Non fece in tempo a sedersi sul seggiolino che un boato scosse la nave e un incendio divampò all’altezza del centro nave. I motori colpiti smisero di erogare potenza e energia, l’equipaggio tentò inutilmente di soffocare le fiamme mentre un secondo siluro squarciò la prora. La nave cominciò a imbarcare acqua, urla di marinai ustionati e feriti che pregavano o bestemmiavano, un andirivieni di tute unte d’olio e annerite dalla combustione dello stesso che correvano alle manichette o ai pezzi d’artiglieria rimasti funzionanti e fumo nero, acre e soffocante, che si confondeva con l’odore di carne bruciata. Giacomo si vide costretto a scendere dalla torretta e dopo aver spostato il cannoniere senza più vita, si mise al pezzo e aspettò che il sommergibile emergesse. Promettendosi di rendere ad esso vita dura, mettendo in conto anche la perdita della sua vita, si fece il segno della croce, impugnò il manettino del brandeggio e con lo sguardo fisso innanzi a sé scrutò la superficie del mare. IL suo amico Parodi, cannoniere genovese di Pegli, gli aveva insegnato ad usare il cannone in manuale e quando la falsa torre nemica si mise in bella vista sparò un colpo che sfortunatamente non sortì alcun effetto. Neppure il tempo di caricare nuovamente l’arma che il cannone nemico rispose al fuoco sparando a sua volta, una fitta lancinante lo costrinse a piegarsi su se stesso e si rese conto che perdeva sangue dal fianco, un candeliere si era staccato dalla falchetta e liberato dalla draglia lo aveva trafitto appena sotto il costato all’altezza del fegato, con impeto si riposizionò sull’otturatore per continuare la lotta e urlò “per il Re e per l’Italia”. Ma la vista si annebbiò, sentì che le forze venivano a meno, il respiro si fece sempre più corto, non sentiva dolore, solo un calore che si impadroniva del suo corpo. In un istante ripercorse lo scorrere della sua vita fino ad allora, quasi sorridendo tornò con la mente al suo paese e rivedeva la famiglia impegnata nel duro lavoro della montagna, senza un lamento, come se fossero a quello destinati da un volere divino. Un veloce pensiero a Diva, mancato amore e poi…il buio.    

Arrivò il postino a casa Baudone.

Allegro gridò “posta da Giacomo”, invitato a restare dalla Madre, attese che tutta la famiglia fosse riunita per ascoltare notizie del giovane paesano. Ester, l’unica un po’ erudita lesse: Cara Madre, quanto sto per scrivervi…

Dopo la lettura i famigliari si abbracciarono e piansero per la preoccupazione pensando al loro caro così lontano…

Ripresero il loro faticoso lavoro attendendo buone nuove.

La settimana successiva ì da un camioncino militare scesero due uomini in divisa. La mamma di Giacomo accigliata si asciugò le mani con il grembiule e aprì loro la porta, di colpo capì e come se un pugno le colpisse il cuore le si bloccò il respiro

“Signora Baudone siamo spiacenti di comunicarle che suo eroico figlio Giacomo al grido di” per il Re, viva l’Italia” ha donato la sua vita per la Patria”

Incredula e sbigottita rimase per un istante in piedi davanti alla porta, poi si inginocchiò, si prese il viso tra le mani e dalla gola un urlo straziante riempì la silente valle.  

Dario viso

Dario Bilotti

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